Italo Rota
“Tutto ruota attorno alla libido”

8 Maggio 2014

Interno giorno. Aeroporto di Milano Malpensa. Aerei che atterrano e decollano, turisti ai check-in e passeggeri assonnati agli imbarchi. Poi d’improvviso, nella monotonia generale, una figura in fucsia e giallo lime. È Italo Rota, architetto e flâneur milanese. Classe 1953, negli anni Settanta inizia il suo percorso nello studio di Vittorio Gregotti e nella redazione della rivista Lotus diretta da Pierluigi Nicolin. Nei primi anni Ottanta si trasferisce a Parigi, dove si occupa di diversi allestimenti museali: dal Musée d’Orsay al Centre Pompidou, dalle nuove sale della Scuola Francese della Cour Carré del Louvre all’illuminazione di Notre-Dame. Progetta, oltre a una serie di alberghi di lusso e locali sparsi in tutto il mondo, uno dei nuovi simboli della cultura meneghina, il Museo del Novecento, inaugurato nel 2010. Direttore scientifico di NABA e Domus Academy, autore di diversi libri, l’ultimo dei quali è Cosmologia Portatile (Quodlibet), Italo Rota ha vinto premi importanti, tra cui la Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana per gli spazi pubblici e per la cultura e il tempo libero, il Landmarks Conservancy Prize di New York e il Grand Prix de l’Urbanisme di Parigi. Ha da poco presentato il progetto del padiglione del Kuwait per Expo 2015.

L’ho riconosciuta subito dai colori pop. Italo Rota, meglio chiarire subito questa faccenda, prima di cominciare l’intervista. Da dove nasce quest’amore per i colori sgargianti?

Il mio amore per il colore ha un’origine particolare. Innanzitutto, perché mio zio è stato a Mauthausen, un luogo che ho sempre identificato con il nero. In secondo luogo, avendo sempre visto colori sgargianti in Africa, in Sudamerica, in India, in Tibet, il colore per me è quello che si vede nelle città carovaniere, come in Uzbekistan, dove fuori si trova il nulla e dentro si nascondono colori fluo meravigliosi. Infine, diciamoci la verità, l’uomo è sempre stato costretto dalla società a vestirsi senza libertà cromatiche.

Adesso non è più così, la moda ha sdoganato i colori.

Provi a scendere in strada: non è cambiato nulla. Il colore lo trovi, se ti va bene, nelle t-shirt. Ci ha provato una volta Jil Sander a inserire i colori fluo nelle collezioni, ma ci ha lasciato le penne, economicamente parlando.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

Definizione di fluo, prego.

Il colore fluo è quello che emana luce. Provi a prendere un evidenziatore e tirare una riga in mezzo a due pagine di un libro. Chiuda il libro, e lo riapra un poco: sembrerà una lampada. E poi, sa qual è la cosa bella di questo mondo? Che ognuno può fare quello che vuole, senza rompere le scatole agli altri. Attenzione però: se uno non fa piacere a se stesso, non può fare piacere nemmeno agli altri. Il trucco è che si può fare piacere con molta saggezza.

Definizione di saggezza, prego.

La saggezza è essere seri e avere un progetto folle. Quando ero al Politecnico, un professore di cui non ricordo il nome consigliava a ragazzi e ragazze di rasarsi i capelli e le sopracciglia, e andare in strada a osservare le reazioni della gente. Bisogna usare il proprio corpo come primo territorio dell’architettura.

A questo punto le chiedo di farmi vedere i tatuaggi.

Non ne ho, ma sono un grande ammiratore sia dei tatuatori che dei tatuaggi. Pensi ai danni che ha fatto quel libro di Adolf Loos, Ornamento e delitto. È un titolo pazzesco che si è autocostruito il proprio mito, anche se il testo è una porcheria che nessuno ha mai letto. Un po’ come Less is more, due paroline magiche con cui gli architetti cercano di sopravvivere. 

Mi sfata un mito. A un architetto è permesso riferirsi in questo modo a Mies Van der Rohe?

Vede, dentro quella formula c’è un piccolo segreto: per far sì che quelle due paroline funzionino, bisogna metterci qualche goccia di cattivo gusto. Guardi il successo di Prada, e la sua genialità: ha sempre dentro un sesto di cattivo gusto.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

Bene, possiamo cominciare con l’intervista. Cosa ci fa in aeroporto con un biglietto per Istanbul?

Vado in Kuwait, sto lavorando al loro padiglione per l’Expo. Sono contento perché è un paese molto diverso dai vicini del Golfo: è una democrazia dove la religione è islamica, ma non viene imposta a nessuno.

Perché è più facile incontrarla in coda agli imbarchi, piuttosto che per strada a Milano? 

Viaggiare è la mia condizione più naturale. Ci sono tanti tipi di viaggiatore, io ho sempre avuto la fortuna di girare il mondo, e di combinare il lavoro con la scoperta di un paese. Una grande fortuna, perché non c’è modo migliore di visitare un paese che vivere la sua quotidianità.

Ogni quanto parte?

Se posso prendo un aereo tutte le settimane, ho vissuto buona parte della mia vita con i piedi staccati da terra. Questo mi diverte molto, insieme al fatto che in ogni istante ci sono due milioni di persone in viaggio nell’etere.

Gira tanto, vola all’estero, conosce il mondo, ma ci sono luoghi dove si rispecchia meglio come italiano?

Sento forte il tema della vicinanza con le culture millenarie, come Giappone o Cina. È sempre più evidente: le culture millenarie generano individui con una marcia in più. Non più intelligenti, non più ricchi, ma sempre in grado di sopravvivere. Un altro aspetto è che chi ha i millenni alle spalle sa cosa può offrire al mondo con il proprio passato. Non per nulla sono questi i paesi che hanno opposto più resistenza alla globalizzazione, che comunque oggi non c’è più, ci sono solo idee o oggetti.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

A riprova di questo c’è la sua collezione di objets trouvés scovati in giro per il mondo.

I miei objects trouvés sono legati al viaggio e al lavoro, ma sono comunque di passaggio. Non li tengo morbosamente per me. Con mia moglie Margherita (Palli, storica scenografa di Luca Ronconi, nda), abbiamo regalato moltissime cose ai musei, ma anche ad amici. Donare per me è un’attività legata al ciclo vitale, vuol dire che hai ancora energie per il ricambio. Per il resto, raccogliere e selezionare oggetti è uno dei primissimi istinti umani, come confermano l’archeologia e l’antropologia. Le prime tombe vennero identificate quando di fianco a uno scheletro venne trovata una selezione di conchiglie: l’amore per gli oggetti è insito nell’animo umano.

Si dice che fra le sue collezioni ci sia anche il casco di Jurij Gagarin. Quale oggetto le è più caro?

Il colpo di fulmine credo che valga solo per le persone, per gli oggetti parliamo solo di accumuli. Mi innamoro delle persone, mai delle cose.

Il suo lavoro sui musei nasce dalla passione per le collezioni?

No, di musei ho cominciato a occuparmi per caso, quando in un’estate degli anni Ottanta Gae Aulenti e io vincemmo il bando per l’allestimento del Musèe d’Orsay di Parigi.

Come se li ricorda quei giorni?

Eravamo come due ubriachi, la sensazione era quella di chi vince alla lotteria. Fino ad allora Gae aveva fatto quattro appartamenti e qualche bellissimo oggetto di design, io ero redattore grafico di Lotus e avevo partecipato a qualche concorso. Diciamo che è stato il mio primo laboratorio: nel primo progetto, il d’Orsay prevedeva le locomotive insieme ai quadri, in puro spirito socialista. Il secondo governo socialista fece poi un passo indietro, ma Mitterand, che veniva in cantiere, continuava a dire: “Ma questa pietra non farà un po’ fascista?”. In tedesco le chiamano Banalitäten, banalità, e fanno capire che la politica anche quando è intelligente non può essere ferrata su tutto.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

Da Parigi passiamo a Milano, dove ha progettato il Museo del Novecento all’Arengario, in Piazza Duomo. Come deve essere, per lei, un museo?

Non esiste una tipologia standard, ogni museo ha la sua collezione, la sua ubicazione particolare. Tutto dipende dal rapporto che una collettività ha con l’opera, con le opere.

Oggi che rapporto c’è fra opera e collettività?

Adesso credo che la questione si sia in qualche modo azzerata. Si tende a osservare gli oggetti in quanto tali, riconoscendone un valore autonomo. Questo è un processo completamente individuale, e va di pari passo con il fatto che oggi le persone hanno una vita creativa, ragione per cui l’arte in senso stretto ha perso centralità. Nessuno pensa che un artista contemporaneo possa fare la differenza, in nessun ambito della società.

Ma chi è oggi il grande artista?

Oggi ci sono opere collettive a cui per convenzione si dà un nome proprio. Per esempio, quando uno vede Gravity, uno dei più bei film della storia del cinema, si domanda: ma di chi è? Non lo sappiamo, l’idea è del regista Alfonso Cuarón, ma dietro di lui c’è una folla di persone che ha inventato e realizzato il modo di girarlo. La collettivizzazione dell’opera è un fenomeno destinato a cambiare anche l’architettura, tanto che già adesso stiamo assistendo alla fine di un ciclo. Quello delle cosiddette archistar, infatti, è stato solo un periodo.

Quindi qualcosa di positivo c’è, ci stiamo liberando delle archistar.

No, non vanno espressi giudizi. Semplicemente, prima ci piacciono le mele, poi le banane, ma il cambiamento è radicale. Penso che nei prossimi anni le comunità si rivolgeranno a gruppi di più persone per risolvere un problema, e da qui nasceranno nuove forme creative che oggi non possiamo nemmeno immaginare. Il bello è che ne usciranno cose nuove, mentre attualmente l’architettura è sempre lì a ritagliare le facciate e a far lavori di forbicine.

Che triste descrizione dell’architettura, ma va davvero cosi male?

Non va benissimo. Perché è molto lontana dal futuro, ovvero vive gli ultimi sussulti di un’era meccanico-elettrica. In realtà, quest’inerzia è anche conseguenza del fatto che non c’è progresso nella costruzione. Certo, sono migliorati i materiali, ma il problema vero è organizzare l’efficienza e cambiare modello di vita.

In realtà, quindi, dovrebbe cambiare l’essere umano.

Sì, perché siamo così tanti che piccole decisioni individuali possono risolvere i problemi. Oggi sappiamo che le collettività hanno una psiche, cioè sono molto meglio degli individui. Ciò che si osserva attualmente è che la gente prende decisioni per sé, con gli altri.

Lei dice che non bisogna dare un giudizio, ma quest’attitudine sembra decisamente positiva.

Certo, guardi il rapporto con il pianeta. Se ci comportiamo male l’industria non fa più profitti e l’economia smette di girare. A Milano quest’anno le persone hanno lasciato a casa l’automobile e sono passate alla bicicletta, al car-sharing. Tutti spendono meglio il proprio tempo.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

A proposito di tempo, lei ha da poco pubblicato Cosmologia Portatile, per i tipi di Quodlibet. È un volume scritto esclusivamente di notte come fosse un libro dei sogni alla Fellini o uno dei 24 libri di Prospero…

Fellini per me è molto importante, nel senso che quello che molti interpretano in termini di visione deformata a me sembra semplicemente una visione amplificata. Quando amplifichi, le cose che conosci diventano generi che poi puoi benissimo abbandonare. Questo in architettura accade raramente, penso per esempio a Jean Nouvel, mentre per Frank O. Gehry o Zaha Hadid il problema è esattamente il contrario.

Ma a che punto siamo con l’architettura?

L’architettura ha finito di essere per sempre, o comunque di essere immaginata per sempre. Penso che oggi un architetto saggio, con tre occhi invece di due, dovrebbe essere felice di sapere che tutto quello che fa è a tempo. Non nel senso che a un certo punto smette di funzionare, ma che se c’è qualcosa di meglio da fare lo si demolisce e al suo posto si fa qualcos’altro o si lascia un vuoto. Penso che questa sia una delle conquiste psicologiche che i giovani architetti dovrebbero acquisire: non pensare più di sopravvivere attraverso le rovine.

Fellini diceva che aveva sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo. Lei, da grande, che aggettivo vorrebbe essere, rotesco o italorotiano?

Diciamo che Fellini poteva permetterselo. Un architetto non ha di questi problemi, anche perché il cinema parla di sé direttamente, l’architettura no. Una volta terminata la costruzione, l’architetto non c’entra più niente, nel bene e nel male. Sono poi i cittadini a conservarla, se sono contenti, o a buttarla, oltraggiarla, modificarla.

A proposito dell’aggettivo felliniano, le è piaciuto La grande bellezza?

Molto a livello di immagini, ma quel film fotografa un mondo che esiste veramente e che detesto. Si tratta di realtà al 100 per cento, e il film è geniale perché, con il privilegio dei veri artisti, riesce a sublimarla. Detto questo, quel mondo è il mio nemico etico, il mio nemico sociale, l’ostacolo che impedisce ai più giovani di lavorare, di esprimersi.

A proposito di giovani. Lei è direttore scientifico del campus di design di Naba e Domus Academy, ha insegnato ed è sempre a contatto con i giovani.

È difficile tradurre la propria esperienza in carica pedagogica, da docente non è facile avere una relazione forte con i ragazzi. Cosa diversa invece è progettare la scuola, scegliere i professori, discutere di dove andare.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

È giusto insegnare design agli studenti?

Dipende intanto da cosa si intende per design.

E da cosa si intende per insegnare.

Sì, esatto. Penso che oggi insegnare significhi parlare di lavoro, non del fatto che quando finisci la scuola troverai un lavoro, ma che il lavoro da scegliere è una cosa seria che va pensata, progettata, per fare veramente le cose che si vogliono fare. Tutto ruota attorno alla libido: bisogna essere contenti di quello che si fa, perché senza questa sensazione positiva non si combina granché. In Italia abbiamo il problema che i giovani sono poco inclini a usare il futuro.

Fosse solo questo il problema. 

Problemi ce ne sono, eccome, ma la scuola può ancora intervenire preparando le persone che nei prossimi anni faranno parte dei cicli intermedi della produzione creativa, che sia la produzione delle città, di un oggetto o della nuova economia sociale. E lì appunto torna il problema della libido: per chi aveva pensato di prendere la matita e di fare un buco, lisciare cemento e cambiare il mondo con le case, che piacere c’è a essere un architetto che fa economia sociale?

Lei invece cosa voleva fare da piccolo?

Giocavo molto con i soldatini, facevo i modellini, poi a sedici anni ho cominciato a cercare i minerali. Ma di base ho sempre convissuto con una certa idea di paura. Partivo sempre da una idea, dalla paura e dai mondi ostili che andavano rispettati.

Visto che parla spesso di cinema, pensavo volesse fare il regista. Lo girerebbe un film?

Certo, mi sto organizzando, è da un po’ che faccio delle prove. È un film di sex fiction.

Futuro prossimo, Expo 2015. Milano, come se la immagina?

Non ho idea di quello che succederà, nessuno ce l’ha. A Milano ci sono dei quartieri che funzionano, altri che non funzionano. Trovo comunque che la città non sia messa così male, a parte l’aria inquinata. E poi, Milano non ha mai espresso una vita diversa da quella attuale. Io ci sono nato, ed è sempre stata così, una città relativamente accogliente, dove le case sono aperte e puoi conoscere gente di tutto il mondo. Pero non è mai cambiata, anche perché non ha lo spazio per farlo. Ciononostante, a Milano ci sono tanti teatri, tanti musei, la sanità è una delle migliori d’Europa.

Lei è stato assessore nel 1994 con la Lega e Formentini.

Sono stato chiamato per risolvere il problema dei rifiuti e abbiamo fatto la prima rete civica online, che era un coadiuvante per far produrre meno rifiuti singolarmente. In quel periodo abbiamo scritto dei libri, che tutti hanno ricevuto nelle case, sui diritti e i doveri dei cittadini.

E cosa pensa di Giuliano Pisapia e del suo lavoro sulla città?

Pisapia è una persona per bene, ma penso che come tutte le persone elette in quel periodo e in quelle condizioni non sappia da chi e perché sia stato eletto. Se fossi in lui mi aprirei di più, vorrei raccontare le mie intenzioni per il poco tempo che mi rimane. C’è un momento in cui bisogna aprirsi al dialogo.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

Con l’Esposizione Universale non è che poi Milano collassa?

Ma figurarsi. I visitatori delle Esposizioni sono persone serie, di grande volontà, che non vanno a dormire in centro, trovano soluzioni a buon mercato e portano i figli adolescenti a vedere come è il mondo.

Cosa pensa dell’ex primo cittadino di Firenze, oggi diventato premier?

Matteo Renzi è un predestinato, sono tanti anni che lavora a questo progetto e speriamo che ci riesca. Come sindaco ha dedicato tanto tempo a Firenze. Quando dico tempo intendo quello reale, per conoscere la città e assimilare i segreti per governarla.

Bene, l’intervista da aeroporto è terminata. Oggi parte, presto tornerà a casa.

No, guardi non parlerei di casa. Non è che ce l’ho con le case, per carità. Nella mia vita ho fatto solo due case per due persone, primo perché sono sempre in viaggio, secondo perché non voglio dare forma ai problemi individuali.

Chi sono i due prescelti a cui ha progettato la casa?

Una è una abitazione molto particolare a Parigi, l’altra è la dimora di Roberto Cavalli. Di lui so come vive, condivido lo spirito. È sottoterra, è fatta per una persona che non ha domestici, non consuma quasi niente, ha il lusso di un po’ di spazio e due o tre pezzi costosissimi come la scala, che è così cara per ragioni politiche.

Non sarà elegante, ma quanto è costata?

Mezzo milione di euro solo di manodopera. Si tratta di un progetto politico, ovvero della decisione di buttare del denaro per far sopravvivere degli artigiani, che è il tema di Ron Arad e di Jasper Morrison: ostinarsi a trovare qualcuno che compri il plusvalore che c’è in certi oggetti. Una sedia di Ron Arad contiene mille euro di acciaio, ma ore e ore di lavoro. Si tratta da un lato di una forma di politica sottile, volta a preservare la sofisticazione di pensiero legata all’artigianato, dall’altro di far sopravvivere queste persone con le mani d’oro. Un’attitudine rara, quasi unica, che spicca sull’atteggiamento consueto.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

Casa di Italo Rota a Margherita Palli.

Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

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Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

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Casa di Italo Rota e Margherita Palli.

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Casa di Italo Rota e Margherita Palli.


Francesca Esposito

Giornalista, collabora per diverse testate, scrivendo di architettura, fotografia, arti e mestieri. Si occupa di comunicazione nella nuova Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Vive nel cuore del quartiere cinese di Milano, dopo aver vissuto a Shenzhen, a Roma, a Parma, a Londra e a Parigi. Sta programmando una fuga.


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