Frida, Pedrali
Odo Fioravanti

16 Ottobre 2019

Correva l’anno 2008, e il design sapeva benissimo dove non andare. L’anno prima, la mostra The New Italian Design, curata da Andrea Branzi per la Triennale, aveva spalancato una volta per tutte il sipario sull’ultima generazione di progettisti e la loro lunga teoria di creazioni, marcando la differenza tra il passato dei grandi maestri, impegnati a ridisegnare il mondo con l’industria, e un presente liquido ed emotivo, destinato più a punteggiare il futuro di segni che a riempire le case di arredi. “Generazione Ryanair” era il cappello abbastanza ampio che le riviste e il web provavano a calare sul capo di questa comunità sfrangiata, un multiverso senza manifesto dove, a volerlo rintracciare, il solo filo comune era forse il tormentato rapporto con l’industria. O era piuttosto un reciproco conflitto di disinteresse? In quella lunga galleria di emozioni sotto forma di oggetti, un flusso potenzialmente infinito che si era autoinvestito della missione di riprocessare il mondo, mancava qualcosa per far riaffacciare l’idea che in Italia si sapessero ancora disegnare mobili, e dei più belli. E che a farlo fossero gli italiani. Qualcuno che mettesse a sedere il presente e guardasse avanti, ripescando indietro nel tempo formule, alchimie e il giusto coraggio.

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Che cosa meglio di una sedia? Toccò al talento di Odoardo Fioravanti, classe 1974, ex studente di ingegneria, “salvato” – come direbbe lui – dal design, ingaggiare quel match. Dall’altra parte del ring, il luogo comune, scolpito in una felice arguzia di Bruno Munari, secondo cui esistono ormai “più sedie che culi”. Sembra quasi di vederlo sul ring, Fioravanti: guantoni e maglietta con la scritta Industrious, la stessa che due anni dopo gli avrebbe cucito addosso il Triennale Design Museum di Silvana Annicchiarico con la benedizione nientemeno che di Richard Sapper, “padrino” della mostra dedicata proprio a Fioravanti dall’istituzione milanese. Frida (2008) arrivò dopo che Pedrali aveva già commissionato a Fioravanti la Snow, altra sedia di successo che riportava il design italiano lungo il binario storico di un rinnovato incontro tra progettista e impresa. E un’accoppiata di successo, tutta italiana, dopo anni in cui i grandi marchi avevano guardato alle firme straniere, era anche quella formata da Fioravanti e Pedrali, il marchio lombardo con mezzo secolo di storia e i piedi ben piantati tra Bergamo e il distretto friulano della sedia, per l’esattezza a Manzano, dove non a caso Frida prende corpo. Know how all’avanguardia, maestranze di grande esperienza, design e il coraggio di rivendicare un’idea di bellezza industriale che rischiava di smarrirsi tra mille rivendicazioni di senso. Frida – nome di donna scelto in quanto tale, e basta così – nasce in questo milieu.

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

“Se penso a quegli anni, mi torna alla mente un periodo che sembra lontanissimo, in cui la mia professione era all’inizio e mi muovevo più da esploratore che da progettista”, ricorda ora Fioravanti. “Tutto era una scommessa e ogni pensiero era azione, una specie di flusso di coscienza e prototipi che adesso sembra magico. Intorno c’era un panorama in cui le aziende cominciavano lentamente a guardare a progettisti un po’ più giovani, e qualcosa si muoveva. Del Salone ricordo anche la vittoria di Young & Design, che mi rese molto felice: non me l’aspettavo. E tanto per dirla tutta, quella vittoria cambiò drasticamente le economie di quell’anno in cui iniziavo a fare qualcosa”. Ma che cos’è, infine, Frida? Tecnicamente, una sedia in legno, per l’esattezza essenza di rovere: leggera, resistente e accogliente, nata per “esplorare nuove possibilità nella lavorazione del legno attraverso la sovrapposizione di una scocca in multistrato curvato tridimensionale a una struttura in legno massello”, come recita la nota ufficiale dell’azienda. Una sedia, paradossalmente, mai disegnata, concepita tra la fabbrica e lo studio di Fioravanti grazie a quel miracolo quotidiano che si compie mettendo a lavorare insieme maestranze e designer sul brief di una committenza che sa dove e come guardare. “Mi feci tagliare le tavolette da Gianni, un operaio bravissimo, e tornai in studio con una sedia sotto forma di pezzi di legno che andavano assemblati. Sicuramente, alla base di quell’alchimia c’è il fatto di poter intervenire su un prototipo assemblato insieme all’azienda, a maestranze preparatissime e tecnici esperti”, spiega Fioravanti. “E poi la fortuna di avere le mani abbastanza buone e di amare il confronto con la materia, così da poter creare in prima persona, scolpendo i dettagli della sedia e cercando nel legno le linee che mi sembravano rendere giustizia al pensiero che avevo. Per via di levare, come diceva Michelangelo”.

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Tre anni dopo, nel 2011, arriverà il Compasso d’Oro a non far sembrare una spacconata la citazione michelangiolesca. La giuria presieduta da Arturo Dell’Acqua Bellavitis assegnerà il premio a Frida “per la semplice bellezza scultorea”, sdoganando in quelle tre parole un bisogno estetico che è poi la cifra e lo stile di Fioravanti, uno tra i pochi designer italiani della sua generazione a parlare apertamente di bellezza e a inseguirla nella sua espressione più plastica. Frida è dunque una sedia necessaria, necessaria come la bellezza? “Quando mi chiedono se è necessario un nuovo design per oggetti già ampiamente indagati, rispondo sempre che l’uomo ha necessità di caratterizzare le cose che lo circondano. Non posso pensare che ci si debba accontentare di quello che c’è, mentre penso che ogni periodo storico finisca per trasferire il suo spirito nelle cose artificiali e anche nella natura, almeno in quella percorsa dall’uomo. Le poesie sono ancora necessarie? Le canzoni? I quadri? Ecco, se sono costretto a difendere la necessità di Frida, dico che sentivamo il bisogno di indagare un sistema produttivo nuovo, percorrerlo con forme che potessero sembrare senza tempo, condensare alcune idee in un oggetto come la sedia che sa disporsi ad accompagnare pezzi di vita delle persone”, spiega Fioravanti. “E sì, ci sono più sedie che culi, ma se sparissero tutte in un istante? Forse anche chi sta leggendo si ritroverebbe col proverbiale culo per terra. Ringraziamo le sedie e tutti gli altri oggetti, proprio come siamo grati alle persone”.

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

Ristorante Olivo, Londra. Foto: © Pierluigi Piu.

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

Showroom Blanc, progetto di Fran Silvestre Arquitectos, Vila-real. Foto: Fernando Alda.

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

© Pedrali

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

Studio Boldrin e Vianello, Venezia. Foto: © Alessandra Bello.

Frida, design di Odoardo Fioravanti per Pedrali

Odo Fioravanti. Foto: © Pedrali.


Paolo Casicci

Giornalista, dopo quindici anni a Repubblica inizia a lavorare come content curator e nel 2019 fonda DigiTale. Dal 2015 cura il magazine online Cieloterradesign. Insegna all’Isia e al Quasar Institute for Advanced Design di Roma. Ama il design perché gli permette di toccare cose e vedere gente.


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