Aplomb, Foscarini
Lucidi Pevere

12 Dicembre 2019

Anche nel design, per andare a segno, oltre a una buona mira serve la giusta distanza. Quella di Aplomb è una storia di buona mira, di ottimo design e di un certo distacco: dalla moda, dal tempo, perfino da Milano. Siamo a Udine, nel 2007. Paolo Lucidi e Luca Pevere sono una coppia di progettisti trentenni dalle ottime referenze. Usciti dal Politecnico, hanno lavorato il primo con Piero Lissoni e Marc Sadler, l’altro con Clino Trini Castelli e Marco Ferreri, e vantano già una buona quantità di lavori apprezzati, nessuno dei quali però li ha ancora convinti che si può vivere di solo design. Il colpo che accende le loro carriere arriva di lì a poco, lungo una strada percorsa controcorrente e con tenacia friulana. “In quegli anni, Muji apriva il primo store a Milano e Naoto Fukasawa collaborava con i marchi italiani più in vista”, ricordano adesso. “Nel 2006 Jasper Morrison pubblicava Super Normal e l’anno dopo Apple lanciava il primo iPhone. Stoviglie, climatizzatori, tavoli, sedie, telecomandi, televisori, lampade, progettisti e imprese subivano questo morphing verso il bianco e la forma pura, quasi asettica”. Tutto perfetto? Anche troppo: “Cominciavamo a provare un certo fastidio, quella ‘super-normalizzazione’ non ci piaceva”.

Aplomb, Foscarini

© Foscarini

Il rigetto per il gusto del tempo diventa il punto di partenza, il bandolo di un filo che inizia a svolgersi calando lento e dritto verso il bersaglio: “Tra le tante esperienze che ci avevano permesso di continuare a fare design una volta tornati in Friuli, c’era stata quella con Deroma, un’azienda di vasi per esterni. Avevamo approfondito il mondo della ceramica, della terracotta e del cemento. Erano spunti che inconsciamente avevamo assimilato e che ci permettevano di pensare non all’ennesimo oggetto bianco e impeccabile, ma a qualcosa che parlasse un linguaggio nuovo, materico e tutto sommato facile da produrre”. Aplomb, che in francese indica il portamento sicuro, ma anche il filo a piombo da cantiere, è una luce a sospensione elegante realizzata assottigliando il cemento a uno spessore intimo, domestico. La lampada vede la luce nel 2010 per Foscarini da questa ricetta inedita che va in direzione ostinata e contraria all’estetica del tempo, spostando l’attenzione dalla trasparenza alla materia compatta e grezza, dalla luce diffusa alla luce puntuale che cade perfetta, appunto come un filo a piombo. Negli anni in cui il design mondiale prova a rendere diafana la materia, Lucidi e Pevere cambiano tutto e fanno della luce qualcosa da toccare prima ancora che da vedere.

Aplomb, Foscarini

© Foscarini

Aplomb segna, a suo modo, un passaggio storico e rinnova il patto tra designer, artigianato e industria che ha fatto grande il Made in Italy. “Siamo all’alba della grande crisi del 2008, la plastica e i grandi investimenti sugli stampi non sono più così scontati. Da un lato per l’incertezza del mercato, dall’altro perché ormai non danno più valore al progetto, con i materiali sintetici che diventano via via appannaggio delle aziende più piccole e commerciali”. L’intuizione di Lucidi e Pevere è quella di rivolgersi alla manifattura specializzata per sperimentare. “Fino a quel momento in cemento c’erano stati alcuni oggetti provocatori, da galleria. Il campo era sgombro per una lampada come la intendevamo noi: artigianale sì, ma riproducibile e dunque vendibile”. Se oggi è un luogo comune parlare di designer che prendono per mano gli artigiani, lo è anche grazie ad Aplomb. Meno scontato, allora, era che gli artigiani raccogliessero quell’invito. “Dopo una veloce chiacchierata con i fornitori di Deroma, distanti migliaia di chilometri dall’Italia, capimmo di dover sfruttare il saper fare dei nostri maestri e anche la loro propensione latina ad accettare una sfida tutta nuova”. Aplomb doveva essere di cemento, portare l’architettura nella piccola scala del design, ma restava un oggetto insolito per i cantieri abituati a trattare sulla quantità del materiale usato e non sulla qualità del lavoro e del know-how. “Quello che ci sentivamo dire di continuo era: non si può fare. Ovvero: tanti problemi e pochi guadagni. Per un paio di chili non ne valeva la pena. La stessa risposta ce la diede Crea, la manifattura bresciana che allora si chiamava CreaForme e aveva un paio di operai. Abbiamo ancora la stampa della nostra mail su cui Giampiero Piccinelli scrisse: non fare. È stata sufficiente una telefonata per spiegargli cosa volevamo, e dopo una decina di giorni ci spedì un primo prototipo. Era grezzo, grosso e sproporzionato, ma accese l’entusiasmo giusto per andare avanti”.

Aplomb, Foscarini

© Foscarini

Acquisita la fattibilità del progetto, non restava che portarlo in dote a un’azienda in grado di capirne la portata e il valore. E quale azienda meglio della veneta Foscarini, il marchio “senza fabbrica” che ha messo al centro la proficua alleanza tra designer e manifatture, poteva raccogliere la sfida? “Mostrammo il prototipo all’azienda di Carlo Urbinati nel 2008 e rimase in stand-by per un po’. Passò un anno e mezzo, poi finalmente la telefonata con cui ci comunicarono la decisione di approfondire. Presentammo Crea a Foscarini e si cominciò a sperimentare, fino a trovare la giusta amalgama che ha permesso di ridurre il cemento allo spessore giusto”. Il resto è storia, un successo da novemila esemplari all’anno distribuiti tra case e ristoranti, biblioteche e alberghi, sfumando del tutto la differenza tra vocazione domestica e contract di un pezzo di arredo che sembra nato per qualsiasi contesto: “Questa differenza non l’avevamo presa in considerazione, non era un presupposto e, più onestamente, non ne conoscevamo all’epoca la vera differenza. Il peso, la sicurezza, il tipo di cavo, la fonte luminosa: sono fattori che abbiamo condiviso con Foscarini per rendere Aplomb adatta ai diversi mercati e normative. Nonostante questo, il pezzo in produzione ha tutte le caratteristiche e le proporzioni del primo schizzo che presentammo a Crea. È qualcosa che accade raramente”. Nel frattempo, da Crea ci hanno preso gusto: l’azienda ha vinto la crisi, adesso si chiama Crea Concrete Design ed è una manifattura al servizio di progettisti sofisticati. Il tempo del “non si può fare”, insomma, è finito. Farsi prendere per mano dai designer, tutto sommato, conviene.

Aplomb, Foscarini

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Maestrie, un progetto di Gianluca Vassallo. Foto: © Gianluca Vassallo per Foscarini.

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Maestrie, un progetto di Gianluca Vassallo. Foto: © Gianluca Vassallo per Foscarini.

Aplomb, Foscarini

Maestrie, un progetto di Gianluca Vassallo. Foto: © Gianluca Vassallo per Foscarini.

Aplomb, Foscarini

Maestrie, un progetto di Gianluca Vassallo. Foto: © Gianluca Vassallo per Foscarini.

Aplomb, Foscarini

Maestrie, un progetto di Gianluca Vassallo. Foto: © Gianluca Vassallo per Foscarini.

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Maestrie, un progetto di Gianluca Vassallo. Foto: © Gianluca Vassallo per Foscarini.

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Maestrie, un progetto di Gianluca Vassallo. Foto: © Gianluca Vassallo per Foscarini.

Aplomb, Foscarini

Maestrie, un progetto di Gianluca Vassallo. Foto: © Gianluca Vassallo per Foscarini.

Aplomb, Foscarini

Maestrie, un progetto di Gianluca Vassallo. Foto: © Gianluca Vassallo per Foscarini.

Aplomb, Foscarini

Maestrie, un progetto di Gianluca Vassallo. Foto: © Gianluca Vassallo per Foscarini.

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Paolo Casicci

Giornalista, dopo quindici anni a Repubblica inizia a lavorare come content curator e nel 2019 fonda DigiTale. Dal 2015 cura il magazine online Cieloterradesign. Insegna all’Isia e al Quasar Institute for Advanced Design di Roma. Ama il design perché gli permette di toccare cose e vedere gente.


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