Marie-Louise al Pellicano

27 Luglio 2020

I figli spesso si ribellano ai genitori, magari solo per contrarietà si costruiscono altri mondi, totalmente diversi da quelli dai quali provengono. Marie-Louise Sciò non ne ha avuto bisogno. Il mondo in cui è nata e cresciuta le appartiene pienamente e con il tempo lo ha fatto diventare il suo regno. Un mondo creato nel 1965 da un’americana dell’alta società e da un aviatore inglese che si stabilirono in Toscana e costruirono un rifugio in una baia dell’Argentario dove facevano feste senza fine. È così che la loro villa si è trasformata nel Pellicano, un luogo in cui le star di Hollywood venivano a rilassarsi lontane dai riflettori. Il carismatico imprenditore Roberto Sciò si innamorò di questo posto e nel 1979 lo comprò. Oggi la figlia Marie-Louise, CEO e Direttore Creativo del gruppo Pellicano Hotels, lo mantiene in un equilibrio perfetto tra contemporaneità e tradizione. Insieme a La Posta Vecchia, nobile residenza a Palo Laziale (sulla costa nord di Roma), già proprietà di Jean Paul Getty negli anni Sessanta, e all’hotel Mezzatorre ad Ischia, rinnovato un anno fa. Mentre parliamo su Facetime, con la connessione che va e viene, mi fa vedere il mare sotto al suo balcone. Marie-Louise ha uno sguardo presente, che sta in più posti allo stesso tempo, una scarpa qui e una in quel mondo, giovane e antica insieme, proprio come i suoi hotel, che, per questo, si somigliano tutti. Sono somiglianze di famiglia, una famiglia allargata che comprende tutto quello su cui posa gli occhi – e le mani.

Dove hai vissuto il periodo di quarantena?

Metà a Roma e metà a La Posta Vecchia.

The Grand Opening, 2 giugno 1965. Foto: John Swope, © Hotel Il Pellicano.

Ho visto le tue Stories su Instagram da Il Pellicano, avete riaperto il 26 giugno.

Sono felicissima di essere tornata qui, è un posto speciale.

Ho letto in una tua intervista che secondo te oggi molti hotel non hanno identità, investono tantissimo sul design, ma poi appena gratti la superficie manca la sostanza. Cosa intendi per sostanza?

Ogni punto di contatto che hai con il cliente è un’opportunità per dire qualcosa, tutto dipende dalle scelte che fai. Un esempio sono i libri che si comprano al metro, arriva l’arredatore che chiede tre metri e mezzo di libri per riempire la libreria. La puoi riempire così o di contenuto, di sostanza, di libri che vale la pena leggere, che possono darti un’emozione. Quando parlo di sostanza parlo di questo.

Di una scelta attenta.

Di curare maniacalmente tutto. Ci sono alberghi dove hanno speso milioni di euro a camera, con marmi dappertutto; poi nel frigo bar c’è un succo scadente, ci sono prodotti che trovi anche all’Autogrill.

Scelte dozzinali.

È pigrizia, ed è anche una scelta finanziaria, imprenditoriale. A me di mettere dei succhi che trovi ovunque nei miei hotel non va. Un viaggio è una scoperta, puoi far scoprire al cliente un succo, un libro, un film. Siamo responsabili di questo.

Forse dipende anche dallo stile di chi se ne occupa.

Per me fare alberghi non è solo guadagno, ci occupiamo del tempo delle persone.

Vedo spesso foto di hotel di lusso tutte uguali, stesso trattamento – per esempio: il bagno senza porta va in un certo momento e lo mettono tutti, anche se ha poco a che fare con il posto. Non trovi ci sia una certa omologazione del lusso?

Questo è l’errore di partenza, il trend non va seguito perché per definizione passa. Noi vogliamo rimanere a lungo. Anche quando faccio consulenza per alberghi l’approccio è questo. Chiedo: cosa vuoi fare da grande? Vuoi essere la hit del momento o preferisci un rilascio lento e duraturo?

Bar all’aperto, Hotel Il Pellicano, Porto Ercole. Courtesy of Hotel Il Pellicano.

Sei una sorta di medico degli hotel. Come si fa una diagnosi a un albergo?

Parto dal potenziale, cerco di proteggere l’anima dei posti. Spesso arriva l’architetto, il designer, ci mettono il loro ego, ma gli alberghi sono carichi di storie: è tutto lì, va solo tolta la polvere, bisogna fare ricerca. Il loro stile ce l’hanno, il loro DNA è lì. Lo trovi nelle foto, lo senti dai racconti, ci sono tanti elementi. Bisogna partire sempre da questo.

Per esempio?

Mi sto occupando di un albergo a Berlino, dove andavano i soldati durante la guerra. C’era questo soldato di cui ho letto la storia, che appena poteva ci andava. Davanti all’hotel c’era un locale dove di nascosto suonavano swing (era illegale), lui prendeva la stanza al primo piano vista teatro e sentiva lo swing in lontananza. È una storia bellissima, da portare alla luce: immaginavo questo soldato alla finestra e ho pensato che la musica dell’albergo dovesse essere coerente con questa storia. Riportiamo lo swing!

Un po’ di archeologia.

Bisogna trovare cosa li ha formati, chi li ha cresciuti, gli hotel sono come le persone. Gli elementi ci sono, dobbiamo fare quello che fa un direttore d’orchestra: metterli insieme, farli suonare.

Non è facile inserire il gusto contemporaneo in luoghi carichi di storia. Come fai a trovare la cosa giusta, quella capace di dialogare al meglio con la memoria di un determinato posto?

È vero, cercare di creare un dialogo fra quello che è stato e quello che è oggi, con tanti ingredienti, è complicato. Quando ho rifatto le camere del Pellicano ho mantenuto una grandissima semplicità nell’arredo. Se vai in altri alberghi vicini trovi 57 kg di tende, sfarzo, tanta opulenza. Il Pellicano è sempre stato semplice nel suo essere curatissimo, e nonostante le aggiunte contemporanee è riuscito a mantenere la genuinità di una bella casa al mare degli anni Sessanta. Non c’è nulla che gridi 2020 o anni Sessanta, cerchiamo con molta cura di tenere insieme le due epoche, perché Il Pellicano possa durare nel tempo.

I colori giallo e bianco come li hai scelti?

Da ragazzina mi sporgevo dalla terrazza e guardavo giù, c’erano ombrelloni blu e rossi, li si vede in molte foto scattate da Slim Aarons. Quando sono venuta a lavorare qui le sdraio erano verdi, in contrasto fortissimo con la superficie bianca, gli asciugamani di un beige noioso, piatto, rispetto a come ricordavo quella vista. Serviva un po’ di felicità. Ho pensato alle righe, mia nonna era americana e le usava molto. Poi il giallo, che significa estate, sole. Così, semplicemente.

Bodysuit Crocodile, Issimo x Solid & Striped; sandali Perugia, Aquazzura; occhiali La Mamma Optical, Issimo x L.G.R.

Giallo e bianco danno freschezza, gioia.

Esatto. Non bisogna essere pomposi e arroganti, ma leggeri e gioiosi. Che non vuol dire non avere profondità.

Anzi, è difficile arrivarci.

Sì, ed è una mescolanza di opposti. Sembra tutto immediato, quasi automatico, ma dietro c’è una dedizione assoluta, un’attenzione maniacale ai dettagli. Ho una passione sfrenata per gli alberghi e ho una lunga lista di hotel sui quali vorrei mettere le mani.

Quali?

Il mio albergo da sogno è l’Hotel des Bains al Lido di Venezia. Anche il Plaza di New York, che hanno massacrato. Ce ne sono molti con una storia incredibile che non è stata portata alla luce.

Da cosa dipende, mancanza di cultura?

Da un po’ di fattori. Economici, di sicuro, ma non solo. Quando dovevo fare Il Pellicano ho intervistato tanti architetti che pontificavano in vari modi: “Il mio stile è questo, facciamo tutto d’acciaio o tutto floreale, la Provence”. Ma quale Provence? Troppo ego. Ogni posto ha la sua specificità. Gli alberghi vanno fatti con la stessa intimità con cui si fa una casa.

Tu sembri perfettamente integrata nel tuo mondo, quello che fai ti appartiene, ti piace. È proprio così?

Sì. Ho lavorato a New York per due anni in uno studio immobiliare – palazzoni da vendere, l’unico obiettivo era massimizzare. Lì ho capito cosa non volevo fare. Non c’era emozione, solo business, mentre puoi fare business anche se ci metti un po’ di cuore. All’inizio è stato difficile, il mondo alberghiero era chiuso, le cose si facevano in un certo modo, punto. Io non avendo mai studiato hotellerie avevo una libertà mentale diversa e ho fatto un’università che mi ha insegnato a pensare.

Quale università?

Ho studiato architettura alla Rhode Island School of Design, ma con un approccio particolare, è come se avessi studiato pittura, il metodo si basava molto sul pensiero critico. C’è un progetto che mi ha formata tanto, è durato tre mesi: la prima cosa che ci hanno dato da disegnare era un contenitore per l’acqua.

Acqua?

Complicatissimo. Il contenitore per l’acqua per me era un bicchiere. Poi però ho iniziato a pensare all’acqua in natura, a cosa la contiene, e già le cose cambiavano. In un secondo momento ci hanno fatto disegnare un altro contenitore, da unire al primo, e solo alla fine ci hanno rivelato che era un progetto per costruire un dispositivo per filtrare l’acqua. Se me l’avessero detto all’inizio avrei cercato come funziona un sistema di filtraggio dell’acqua e lo avrei copiato, invece no. Era tutto così.

Bikini The Brigitte, Issimo x Solid & Striped.

Un’applicazione di questi studi al Pellicano?

Cerco sempre di infilarmi nei processi. Le divise, per esempio, invece di comprarle (sono tutte orribili!) le ho fatte fare su disegno. Poi il libro di cucina con Juergen Teller, Eating at Hotel Il Pellicano. Lo chef del Pellicano doveva scrivere un libro di ricette, ma di libri di cucina ce ne sono tanti e sono noiosi. L’abbiamo presa come un’opportunità. Avevo appena visto il libro di Salvador Dalí, Les dîners de Gala, e volevo fare qualcosa di nuovo, un libro che potesse star bene nei diversi reparti di una libreria: arte, cucina, viaggi.

A proposito di fare qualcosa di nuovo, hai lanciato da poco Issimo, una piattaforma che racconta l’italianità in modo pop, unendo la vendita online all’approfondimento editoriale.

Sì, è la sintesi di anni di lavoro e di pensieri. Ci trovi tutto. Non è solo un e-commerce, è una vera e propria piattaforma di lifestyle. Ho un gran fuoco che mi spinge, quindi non riesco mai a fare i compitini, penso sempre in grande.

Volevi creare un mondo.

Sì, volevo trasferire nel mondo online la nostra filosofia, il nostro stile, i nostri valori.

Sei nostalgica?

Uh. Sono malinconica, mi piace la malinconia.

Parlando di stile e di gusto, a Roma provano ad essere al passo coi tempi ma non ci riescono mai. Perché, secondo te?

È vero, a Roma proprio non ci si riesce. Non so perché, ancora non l’ho capito.

Le tendenze durano poco, sono subito stonate, posticce.

Roma non riesce ad essere contemporanea, non ce la fa.

Ci dovresti mettere le mani tu.

Magari. L’Impero Romano è finito ufficialmente secoli fa, ma molti sembrano non essersene accorti, sono fermi mentalmente a quella gloria passata, è questo il problema.

Ti vedo sempre a contatto con posti che hanno una grande storia alle spalle. Quanto è importante per te la storia di una città o di un luogo?

Dipende, mi sono piaciute moltissimo anche la Lapponia e la Patagonia.

Foulard La Posta Vecchia, 16h23, Issimo x Les Belles Heures; Mezzatorre T-Shirt, Issimo.

Rilassanti?

Rilassanti e necessarie, ogni tanto. Faccio una vita abbastanza frenetica, incontro molte persone, a ottobre quando chiudiamo ho bisogno di metabolizzare da sola quello che è successo. Mi piace tantissimo la solitudine, amo i luoghi dove non vedi una casa, una persona. In Patagonia sono stata in un posto incredibile, Bahía Bustamante, dimenticato da tutti. Il nostro vicino era a un’ora e mezza di macchina. Una delle esperienze più belle che abbia fatto nella mia vita. Poi sono andata con mio figlio in Lapponia, altro posto incredibile.

Quali sono i tuoi hotel di riferimento nel mondo?

Il mio posto preferito è un motel in California sulla costa, nel Big Sur. Ci sono due alberghi, uno super lussuoso che non m’interessa per niente perché è troppo perfetto. Quello che mi piace si chiama Deetjen’s Big Sur Inn: è senza vista, con i bagni in comune, ma il pavimento di legno fa un suono incredibile, scricchiola in un modo tutto suo. Quello scricchiolare mi fa partire l’immaginazione, mi porta verso storie pazzesche. I proprietari poi sono odiosi, ti trattano a pesci in faccia, però il luogo ha un’anima.

L’anima nello scricchiolio del legno.

Hanno una collezione di dischi, il grammofono. È come con le persone, se c’è contenuto, roba vera, allora mi intriga.

Come capisci che quel grammofono è stato messo lì non per facciata o semplice decorazione?

Si sente la musica, è un mondo, una visione, un’interiorità che viene fuori. Serve un punto di vista, questo è quello che le grandi catene dovrebbero iniziare a fare, definire il proprio punto di vista. È pieno di piccoli alberghi che hanno qualcosa da dire, mentre i grandi fanno più fatica. Tutti parlano di experience, ma la parola giusta per me è emotion perché la gente vuole essere toccata, vuole sentire. C’è un altro albergo stupendo a New York che si chiama The Greenwich Hotel, è di De Niro, che ha una passione spasmodica per l’Asia, il Giappone, e tu quando entri questa passione la senti.

Un hotel può essere molte cose, ma è soprattutto un luogo di passaggio. Resta qualcosa nei luoghi? Cosa è rimasto al Pellicano?

Mi ricordo questo mondo dove noi bambini non potevamo entrare, non potevamo andare alle cene, alle feste. Un mondo dietro una siepe, eravamo nascosti con mio fratello a guardare questa immensa eleganza. Vedevo queste donne vestite in maniera straordinaria, mia madre, però erano tutti molto comodi nella loro pelle, non venivano per ostentare. Il Pellicano non è mai stato un posto dove ostentare, i proprietari originari facevano venire i loro amici, persone affini, mi ricordo questa gioia di vivere. Guardavo questo mondo incantato. La mia infanzia mi ricorda un film, Eloise al Plaza, che parla di questa bambina che cresce al Plaza, con la tata. Lei si metteva spesso nei guai.

Anche tu ti mettevi nei guai? Ti intrufolavi?

Sì, certo, facevo dei concerti a pagamento, andavo a bussare alle camere dei clienti: “Ora vi rifaccio il concerto di Madonna, per diecimila lire”. I miei erano disperati. Poi spiavo. Ho visto due che facevano sesso la prima volta nella mia vita, con mio fratello, dallo spioncino di una porta. Una volta abbiamo provato a salvare le aragoste dalla griglia, le abbiamo prese e buttate in piscina.

Con il cloro, meglio alla griglia.

Tutti i clienti a urlare, mio padre nero di rabbia. Ne abbiamo fatte di cose.

Portrait of a Construction Worker, 1964-1971. Foto: John Swope, © Hotel Il Pellicano.

C’è qualcosa che è rimasto uguale?

Ho provato a salvare un sacco di cose. Il logo è rimasto lo stesso. Il ferro battuto del bar lo abbiamo spostato, riusato. Le applique sono tutte originali.

Qual è la parte che preferisci in un hotel?

Il letto. Deve essere comodissimo e alto.

Casa tua com’è? Perfetta come i tuoi hotel?

No, è l’opposto. Sono molto disordinata. Anche nel modo di pensare, ho una logica tutta mia.

Sei una creativa.

Con un gran senso pratico.

Nell’introduzione che ha scritto per il già citato Eating at Hotel Il Pellicano, Will Self ha parlato di sprezzatura a proposito di te e del Pellicano, citando Baldassarre Castiglione. Tutto quello che ti riguarda appare splendidamente disinvolto, naturale, senza sforzo. Come si ottiene questa qualità?

In realtà, dietro questa sprezzatura c’è un grande impegno, un enorme lavoro che però viene fatto con grande leggerezza, con la massima naturalezza, e alla fine lo sforzo si trasforma in un gesto spontaneo.

Ci sono hotel brutti che esprimono comunque qualcosa e uno passa sopra al fatto che non siano pulitissimi o tirati a nuovo. Ti è mai capitato?

Sì, a Los Angeles, un albergo che che era bellissimo anche se non era tirato. Ma questa cosa non è per tutti di facile lettura, quindi bisogna cercare di tirare fuori il potenziale, portarlo alla luce per farlo vivere agli altri.

Una specie di traduzione.

Sì, proprio così.

The Swimming Pool at Il Pellicano, 1973. Foto: Slim Aarons, © Hotel Il Pellicano.

Arrivo all’Hotel Il Pellicano, Porto Ercole. Courtesy of Pellicano Hotels.

Vista dei giardini dell’Hotel Il Pellicano, Porto Ercole. Courtesy of Pellicano Hotels.

Vista dall’Hotel Il Pellicano, Porto Ercole. Courtesy of Pellicano Hotels.

Hotel Il Pellicano, spiaggia privata, Porto Ercole. Courtesy of Pellicano Hotels.

Tramonto dalla piscina dell’Hotel Il Pellicano, Porto Ercole. Courtesy of Pellicano Hotels.

Maglia a righe in cashmere, Issimo x Chinti & Parker; occhiali da sole Jambo-Issimo, Issimo x L.G.R.; braccialetto Fortissimo Il Pellicano, Issimo x Carolina Bucci.

Foulard La Posta Vecchia, 16h23, Issimo x Les Belles Heures; bikini The Brigitte, Issimo x Solid & Striped; braccialetti Fortissimo Il Pellicano e Fortissimo Mezzatorre, Issimo x Carolina Bucci; occhiali da sole Turkana-Issimo, Issimo x L.G.R.

Braccialetti Fortissimo Il Pellicano, Issimo x Carolina Bucci; occhiali da sole Turkana-Issimo, Issimo x L.G.R.

Sciarpa Lucca, Issimo x Faliero Sarti; costume intero Lumiére Deep-V Maillot di Oséree.

Pigiama La Posta Vecchia Tapestry, Issimo x F.R.S. For Restless Sleepers.

Karen Skarreso Sunbathing on the Jetty, 1964-1971. Foto: John Swope, © Hotel Il Pellicano.

Michael Graham, 1964-1971. Foto: John Swope, © Hotel Il Pellicano.

Bill Weiss, 1964-1971. Foto: John Swope, © Hotel Il Pellicano.

The Pool at Il Pellicano, 1964-1971. Foto: John Swope, © Hotel Il Pellicano.


Valeria Montebello

Vive a Roma, dove ha studiato Filosofia. Giornalista, scrive per Rivista Studiol’Officielil FoglioKlat e altro. Lavora come trend hunter in un’agenzia pubblicitaria. Il suo passatempo preferito è fare binge watching. Dotata di sarcasmo.


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