Il mondo nuovo di
Charlotte Perriand

27 Gennaio 2020

Charlotte Perriand (1903-1999) ha attraversato un secolo, ma aveva solo 25 anni quando disegnò alcuni mobili oggi considerati dei classici del design. Chi era la ragazzina che avrebbe lasciato la sua impronta, firmando sin da giovanissima per Le Corbusier l’arredamento di alcuni capolavori dell’architettura come villa Church, villa Savoye, la Cité de Refuge de l’Armée du Salut, per non parlare del Padiglione svizzero alla Cité Universitaire? Una pioniera dell’arredamento di interni, un’artista libera e indipendente convinta che “la creazione non conosce formule”. Per tutta la vita si divertì a confondere le tracce, passando con disinvoltura dal design all’architettura e all’urbanistica, flirtando impunemente con la pittura, la scultura, la fotografia, per fondare la synthèse des arts, e ritornando sempre alla natura per attingere nuove risorse e nuove idee, in vista dell’unico imperativo della sua vita: fondare ex novo l’art d’habiter, migliorando la vita quotidiana dei suoi contemporanei. La storia di questa donna straordinaria che ha rivoluzionato la moderna cultura dell’abitare e il modo stesso di guardare all’arte e di viverla, si può leggere nell’autobiografia che scrisse a novant’anni, raccontando per filo per segno e senza alcun pudore il suo romanzo di formazione, le delusioni, le asperità e i molti successi che costellarono la sua vita1. Ma oggi si può anche riscoprire direttamente attraverso i suoi arredi, i disegni, i progetti, i mobili, gli spazi e le costruzioni che realizzò nella sua carriera.

Charlotte Perriand, Fauteuil pivotant, B302, 1927. Foto: © Paris, 2019, Courtesy of Vitra Design Museum.

La Fondation Louis Vuitton le dedica infatti una bella mostra, Le monde nouveau de Charlotte Perriand, aperta fino al 24 febbraio e corredata da un bel catalogo a cura di Sébastien Cherruet e Jacques Barsac, al quale ha contribuito anche la figlia di Charlotte, Pernette Perriand-Barsac2. Appena si entra al piano terra del “veliero” ideato da Frank Gehry, al Bois de Boulogne, nella prima delle nove gallerie della mostra, ci si imbatte nell’esemplare originale della Chaise longue basculante B 306, la famosa poltrona coi tubolari d’acciaio cromato e la seduta in caucciù ricoperta di tela progettata per gli interni di villa Church e La Roche, secondo il programma di Le Corbusier. Charlotte Perriand la disegnò nel 1928 ispirandosi alla poltrona medica del dottor Pascaud e alla sedia a dondolo Thonet. “Vi pregherei di sottolineare che funziona semplicemente scivolando, senza alcun intervento meccanico”, scrisse nel brevetto d’invenzione3, indicandone le varie posizioni possibili. L’armatura in acciaio cromato, saldata come nei telai delle biciclette, doveva permettere una produzione in serie con costi di fabbricazione ridotti. Ma se quella sedia che oggi viene riproposta da Cassina, partner della mostra e produttore ufficiale dei mobili di Charlotte Perriand, è diventata il pezzo iconico e identitario par excellence della borghesia colta e raffinata, novant’anni fa era troppo all’avanguardia, troppo in anticipo sui tempi, tant’è che si tradusse in un flop commerciale: messa in produzione da Thonet dal 1930, in dieci anni se ne vendettero appena 170 esemplari. L’altro pezzo originale in mostra Parigi, a mo’ di introduzione al mondo nuovo di Charlotte Perriand, è il Fauteuil pivotant del 1927, la poltroncina girevole rivestita in cuoio rosso, col sedile tondo e la spalliera ricurva, entrambi imbottiti, che si regge su una leggerissima armatura tubolare in acciaio cromato. Con questa invenzione, appena diplomata all’Ecole des Arts Décoratifs, la giovanissima CP, figlia unica di due sarti savoiardi con atelier in Place du Marché Saint-Honoré, liquidò l’art déco allora dominante, forse senza nemmeno rendersene conto e prima ancora di entrare nello studio di Le Corbusier.

Charlotte Perriand, Collier roulement à billes chromées, 1927. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / AChP.

Era una ragazza dal sorriso contagioso, occhi azzurri impertinenti, capelli biondi cortissimi, stampati sulla testa alla maschietta, e andava in giro vestita in stile Charleston con certi abitini a disegni geometrici. Non faceva altro che disegnare e un bel giorno portò i suoi schizzi da un artigiano di genio con laboratorio al Faubourg Saint-Antoine, dal quale apprese la meccanica dei congegni più strani. Fu da lui che si farà montare un girocollo con certe biglie di rame cromate, il Collier roulement à billes ispirato a una natura morta di Fernand Léger (Le Mouvement à billes, 1926), che diventerà il manifesto della sua libertà e di quella delle donne della sua generazione, oltre che “un simbolo e una provocazione che segnavano la mia appartenenza all’epoca meccanica del XX secolo”, come lei stessa scriverà4. Affascinata dalla civiltà delle macchine, dagli aeroplani e dalle automobili, faceva il pieno dell’energia creativa che in quegli anni ispirava il cubismo di Braque e Picasso, le sculture aeree di Calder e le grandi allegorie di Léger (suo futuro e indefettibile amico, che la chiamava “la mia fochetta”), come quel monumentale dipinto a olio, Le Transport des forces, realizzato per l’Esposizione universale del 1937, che incombe nella mostra parigina sulla Chaise longue e il Fauteuil pivotant, dove i contrasti tra colori e forme rappresentano la fabbrica moderna e il progresso industriale che offre all’uomo il controllo sulla natura.

Fernand Léger, Nature morte (Le Mouvement à billes), 1926. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / Kunstmuseum Basel, Martin P. Bühler.

Paladina del moderno, Charlotte Perriand fu la prima ad applicare all’arredamento d’interni i criteri di razionalità del taylorismo, che aveva trasformato la fabbrica tradizionale nella grande industria scientificamente organizzata in ogni sua parte, anche nella disposizione degli uffici. E però, da autentica pioniera, disegnò la famosa poltroncina girevole per il suo appartamento in place Saint-Sulpice, dov’era andata a vivere col marito, Percy Scholefield, un inglese flemmatico e più vecchio di lei, mercante di tessuti e amico dei genitori, da lei sposato giovanissima per uscire di casa ed essere libera. Quel primo nido, che era l’ex atelier di un fotografo con un’immensa vetrata affacciata sulla chiesa, divenne per lei un laboratorio di forme e di vita. Charlotte aveva pensato a tutto. Fu lì che installò una porta a soffietto e il mobile che sarebbe diventato un’altra leggenda dell’arredamento d’interni del XX secolo, il famoso Bar sous le toit, che presenterà nel 1927 al Salon d’Automne: un angolo bar in rame nickelato e alluminio anodizzato, con tanto di utensili e vasellame annessi, realizzato con materiali e tecniche industriali, che fungeva da soggiorno dove riunire gli amici artisti, alias Gérard Sandoz, Jean Fouquet, la pittrice Marianne Clouzot, Jacqueline Lamba col suo nuovo flirt André Breton, la fotografa Dora Maar (che nel 1935 diventerà la compagna di Picasso), coi quali scopriva il jazz di Louis Armstrong e le danze africane di Josephine Baker. In uno spazio adiacente, c’era poi l’angolo da pranzo, ricreato nel 1928 al Salon des Artistes Décorateurs (SAD), che comunicava con la cucina attraverso un porta vivande incastonato in un armadio a muro: due ripiani in vetro e acciaio dalle linee epurate che fungono da credenza. La novità all’avanguardia è il tavolo a scomparsa, su una struttura tubolare in acciaio cromato estraibile, col piano in legno ricoperto di caucciù, estensibile fino a 11 commensali. Intorno, poltroncine e sgabelli girevoli, un tavolino tondo in vetro e inox e una scultura gettata lì quasi per caso. Forme iper-moderne, creazioni pionieristiche in anni in cui nell’arredamento dominava il massello di legno intarsiato con naiadi e fauni.

Charlotte Perriand, Agenzia Air France, Londra, 1957. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / Gaston Karquel / AChP.

La mostra di Parigi espone non solo i disegni e le fotografie originali riesumati dagli archivi di CP, ma anche i suoi mobili nella loro dimensione reale: pezzi originali o riproduzioni che siano, sistemati in un ambiente ad hoc, con un allestimento accuratissimo. Chi li osserva da vicino ritrova la stessa emozione che provò Frank Gehry quando entrò per la prima volta a casa di CP e ne scoprì “la padronanza assoluta dello spazio e della composizione”, come egli stesso ricorda nel preambolo del catalogo5. “Tutto era stato concepito in modo squisito e schietto, a scala umana, senza nulla di artificiale. Perriand sapeva cos’era la scultura, nel senso più alto del termine, e cioè quello del rapporto tra gli oggetti nel mondo. Attraverso i volumi ridotti del suo appartamento, potevo sentire gli spazi così come li aveva immaginati e realizzati. Tutto aveva una finalità ben precisa, come accade solo quando si progetta un luogo per sé stessi”6. La stessa sensazione si avverte, dal vivo, entrando nell’appartamento presentato al Salon d’Automne del 1929 e perfettamente ricostruito per questa mostra in uno spazio accessibile al pubblico: un modo nuovo di intendere l’abitazione che era il punto di arrivo del programma lanciato da Le Corbusier sin dal 1925, al Padiglione dell’Esprit Nouveau, con l’intento di abbandonare i moduli tradizionali e privilegiare cassettiere, contenitori sovrapponibili e una serie di mobili in acciaio, come quelli che aveva già disegnato CP o che disegnerà, come il Fauteuil grand confort e il Fauteuil à dossier basculant.

Charlotte Perriand, Fish vertebra, 1933. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / AChP.

Ma la cosa straordinaria è che CP non dovette aspettare l’incontro con Le Corbusier per dar fondo alla sua creatività; iniziò ben prima a creare le sue produzioni in perfetta autonomia. Certo, la svolta per lei avvenne nel 1927, quando lesse i due saggi dell’architetto svizzero, Vers une architecture e L’art décoratif aujourd’hui, ed ebbe una rivelazione: “Quei libri mi facevano superare il muro che ostruiva l’avvenire. Così, presi una decisione: avrei lavorato con Le Corbusier”7. Il primo incontro però fu catastrofico. Si presentò al 35 di rue de Sèvres, nello studio che l’architetto svizzero e il cugino Pierre Jeanneret avevano sistemato in un lungo corridoio ricavato dal chiostro del convento dei gesuiti (edificio poi distrutto e sostituito da un palazzo in vetro e cemento). Tirò fuori i suoi disegni e pronunciò tutto d’un fiato l’unica frase che s’era preparata: “Voglio lavorare con voi”8. Corbusier la fissò squadrandola dall’alto in basso coi suoi occhialetti tondi, prese in mano i disegni e la raggelò: “Qui non ricamiamo cuscini”9. Sconfortata, la poveretta girò i tacchi non senza segnalare al Genio il suo Bar sous le toit esposto al Salon. Non erano tempi facili per le donne: l’architettura era un mondo di uomini alquanto misogini. Charlotte si sentì una fallita: non era riuscita a farsi accettare. Quale lieta sorpresa fu per lei scoprire, pochi giorni dopo, che Le Corbusier aveva visto i suoi mobili ed era pronto a prenderla nel suo studio per arredare gli interni delle sue nuove architetture. Tra loro l’intesa progettuale sarà così forte da offuscare il nome di CP e cancellarlo dietro quello del Genio, e durerà circa dieci anni.

Le Corbusier, Le déjeuner près du phare, 1928. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / Fondation Le Corbusier.

Furono anni di grande complicità; entrambi condividevano la passione per il vuoto, “il vuoto onnipotente perché può contenere tutto”10, come insegna il taoismo. Ma saranno anche anni di passioni e gelosie, visto che, dopo il divorzio dall’inglese, Charlotte scopre Mosca e Berlino, fonda un’associazione di artisti e cede all’idillio col cugino e socio di Le Corbusier, Jeanneret, intrecciando con lui un rapporto fecondo e complicato. Insieme inizieranno le ricerche sull’art brut, studiando con Fernand Léger le forme dei ciottoli sulle spiagge di Dieppe, i frattali dei fossili e dei tronchi d’albero. E insieme vivranno la rottura con Le Corbusier, prima di separarsi nell’estate 1940, quando Charlotte partirà per Tokio. Nominata, grazie all’amico collega ed ex stagista Sakakura, consigliere del governo giapponese per l’arte industriale, CP sarebbe dovuta restare in Giappone solo un anno e mezzo per preparare una grande mostra. Ci resterà sei anni, perché la guerra sconvolgerà i suoi piani, separandola da Jeanneret e facendole trovare un nuovo amore, Jacques Martin, che diventerà il secondo marito e padre di sua figlia Pernette. Da allora, la vita di questa ragazza di montagna dalle infinite risorse, sciatrice provetta e appassionata di fuoripista, e però amante del mare e nuotatrice fanatica, si tradurrà in una trama fittissima di incontri e di scoperte, dove il rigore cartesiano s’intreccerà a doppio filo con l’apertura verso il mondo, con lo studio delle civiltà extraeuropee, rinnovandosi di continuo per sperimentare forme nuove e soluzioni inedite.

Charlotte Perriand, La Maison de thé, 1993, ricostruzione, 2019, Fondation Louis Vuitton, Parigi. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / Fondation Louis Vuitton / Marc Domage.

Bisogna seguire l’intero percorso della mostra parigina, attraverso ciascuna delle nove gallerie dedicate alle diverse stagioni della sua vita, per ricostruirne tutti i passaggi, le influenze, i fili misteriosi che annodano gli anni del Giappone, con la scoperta del legame tra creatività e tradizione, al soggiorno in Brasile, dove andrà sempre a seguito del marito, dirigente di Air France, sino alla progettazione negli anni Settanta della stazione sciistica di Les Arcs, 4.500 alloggi sulle montagne della Savoia di fronte al Monte Bianco, e alla Casa del tè, perfetto emblema del dialogo tra le culture, un capanno di paglia circondato da una foresta di bambù realizzato a Parigi sull’Esplanade dell’Unesco per il Festival del Giappone nel 1993. D’altra parte, di nuovo a Tokyo, a metà degli anni Cinquanta, CP aveva promosso la sintesi delle arti (architettura, mobili, oggetti di uso quotidiano, tappezzerie, sculture policrome, tele murali) per allestire ai magazzini Takashimaya una grande mostra con le opere di Le Corbusier, Fernand Léger e le proprie. Rientrata a Parigi, inizierà a produrre mobili con la galleria Steph Simon, cimentandosi direttamente col mercato e la distribuzione. Poi partirà di nuovo per Rio de Janeiro, dove arricchirà il suo linguaggio di nuovi spunti, senza mai dimenticare le sue origini e il suo marchio di fabbrica, inventando nuove soluzioni tecnologiche e industriali, unite però al rispetto per la natura, alla passione per la montagna e a quella per l’acqua e per il mare, che è l’altra faccia del suo amore per le altitudini. Come se la scommessa di inventare ex novo l’art d’habiter nel Novecento si potesse realizzare solo a patto di contenerne la spinta della tecnica e delle macchine, frenando l’industria per lasciar respirare la natura e trarne nuova linfa.

Le monde nouveau de Charlotte Perriand
A cura di Jacques Barsac, Sébastien Cherruet, Gladys Fabre, Sébastien Gokalp e Pernette Perriand-Barsac.
Fondation Louis Vuitton, Parigi
2 ottobre 2019 – 24 febbraio 2020

Le Corbusier, P. Jeanneret, C. Perriand, Chaise longue basculante, B306, 1928-29, Vitra Design Museum. Foto: © F.L.C. / Adagp, Paris, 2019 / Courtesy of Vitra Design Museum.

Charlotte Perriand, Sideboard, 1977. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / MAD, Paris / Jean Tholance.

Charlotte Perriand, reception, 1955. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / AChP.

Charlotte Perriand, arredi, galleria Steph Simon, 1956. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / Gaston Karquel / AChP.

Charlotte Perriand, Salle à manger 28, 1927. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / AChP.

Charlotte Perriand, Travail et Sport, 1927-1929. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / AChP.

Charlotte Perriand, Stool, 1955 circa. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / Galerie Patrick Seguin.

Le Corbusier, P. Jeanneret, C. Perriand, Fauteuil grand confort, 1928.

Charlotte Perriand, libreria Nuage, Steph Simon edition, 1958 circa. Foto © Adagp, Paris, 2019 / Studio Shapiro / Galerie Downtown – François Laffanour.

Le Corbusier, Fernand Léger, Charlotte Perriand, Proposition d’une synthèse des arts, Tokyo, 1955; ricostruzione, 2019, Fondation Louis Vuitton, Parigi. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / F.L.C. / Fondation Louis Vuitton / Marc Domage.

Le Corbusier, Fernand Léger, Charlotte Perriand, Proposition d’une synthèse des arts, Tokyo, 1955; ricostruzione, 2019, Fondation Louis Vuitton, Parigi. Foto: © Adagp, Paris, 2019 / Fondation Louis Vuitton / Marc Domage.

Charlotte Perriand, Le Corbusier, Pierre Jeanneret, Un équipement intérieur d’une habitation, Salon d’automne, 1929; ricostruzione, 2019, Fondation Louis Vuitton, Parigi, con la partecipazione di Cassina e Sice Previt. Foto: Adagp, Paris, 2019 / Fondation Louis Vuitton / David Bordes.

Charlotte Perriand, Méandre banquettes, composizione di elementi standard con struttura in legno e seduta con schienale in listelli di bambù, 1940. Foto: © Adagp, Parigi, 2019.

Note

1 Charlotte Perriand, Une vie de création, Editions Odile Jacob, Paris, 1998.

2 Le monde nouveau de Charlotte Perriand, sous la direction de Sébastien Cherruet et Jacques Barsac, Fondation Louis Vuitton, Éditions Gallimard, Paris, 2019.

3 Ivi, p. 72.

4 Charlotte Perriand, op. cit., p. 23.

5 Le monde nouveau de Charlotte Perriand, op. cit., p. 18.

6 Ibidem.

7 Charlotte Perriand, op. cit., p. 24.

8 Ivi, p. 25.

9 Ibidem.

10 Okakura Kakuzo, Il libro del tè, Elliot Edizioni, Roma, 2014.


Marina Valensise

Ha diretto l’Istituto italiano di cultura a Parigi, scritto diversi saggi (l’ultimo: La cultura è come la marmellata, Marsilio) e fondato un’agenzia di consulenza per promuovere la cultura con le imprese. Collabora con Il FoglioIl Messaggero e Klat.


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