26 Ottobre 2015
Dal 1 ottobre c’è un nuovo centro per la fotografia in Italia, si chiama CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, e si è insinuato in un vecchio palazzo nel centro di Torino che un centinaio di anni fa accolse la prima scuola pubblica nazionale, a pochi passi dalla Mole Antonelliana e dal Museo Egizio. Una nuova occasione per fare storia? Le premesse ci sono tutte. Alla guida c’è Lorenza Bravetta, già direttrice di Magnum Photos per l’Europa, torinese di nascita che ha visto nella sua città l’occasione per realizzare un’idea che aveva in mente da tempo. A lato della programmazione espositiva, c’è un progetto di digitalizzazione e condivisione online degli archivi fotografici italiani, mai entrati nel raggio d’azione dei musei d’arte, e un interessante palinsesto didattico che si aggiunge a quello della Fondazione Fotografia di Modena in un momento in cui l’Italia non può più permettersi di riservare al linguaggio fotografico un ruolo ancillare rispetto alle altre espressioni artistiche contemporanee. Nelle sale espositive che un tempo accoglievano file di banchi e studenti, si trova adesso la prima retrospettiva di Boris Mikhailov (Kharkiv, 1938) nel nostro Paese – cui farà seguito una presentazione al MADRE di Napoli. Lui, ucraino oggi, sovietico ieri, ha passato la vita a vivisezionare la società che lo circondava con il rigore di un antropologo, la lucidità di un veggente e il lirismo del grande artista. In mostra ci sono le accumulazioni di immagini di Superimpositions (1968/75), che proiettava a Kharkiv in spazi clandestini; gli scatti ossessivi ai simboli del regime comunista raccolti nelle Red Series (1968/75); le microstorie dedicate agli effetti dell’adesione ucraina al modello capitalistico prima e dopo la rivoluzione arancione in Tea, Coffee, Cappuccino (2000-10); per arrivare alla documentazione della protesta del Maidan, in trincea con studenti, militanti e cosacchi, di The Theater of War (2013). Nel corridoio, invece, la sua serie più celebrata, Case History (1997/98), presentata senza cornice, solo poster al muro. Le immagini ritraggono i bomzhes, traducibile con la parola “barboni”, un’eredità lasciata agli ucraini dalla decomposizione dell’Unione Sovietica. Mikhailov non fa sconti, anzi accentua il senso di degrado e repulsione del visitatore imponendo ai soggetti i canoni dell’iconografia cristiana. Con questo campionario di cristi marci, santi sdentati e madonne divorate da eruzioni cutanee, il fotografo scardina ideologie e compromessi morali, rimettendo in discussione mezzo secolo di storia.
Boris Mikhailov: Ukraine
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia
A cura di Francesco Zanot
Torino
1 ottobre 2015 > 10 gennaio 2016