Alex Katz
Painting the Now

22 Febbraio 2019

Alex Katz è uno di quegli artisti che mettono in crisi le categorie che provano a scandire il flusso ondivago della storia dell’arte. Nato a New York nel 1927, quindici anni dopo Jackson Pollock e uno solo prima di Andy Warhol, potrebbe essere considerato l’anello di congiunzione tra due generazioni della pittura americana: quella dell’Espressionismo astratto e quella della Pop Art. Eppure, oggi, nel 2019, Katz continua a dipingere le sue grandi tele enigmatiche a sessantatré anni dalla morte dell’inventore del dripping e a trentadue da quella del “Papa del Pop”. E non si tratta di un sopravvissuto all’età dell’oro dell’arte americana: la sua opera continua a sgorgare fresca, senza che il passare del tempo sia riuscito ad archiviarla. Basti guardare i grandi quadri di una recente mostra alla Timothy Taylor Gallery di Londra, intitolata Coca-Cola Girls: hanno la vitalità dei lavori usciti dallo studio di un giovane pittore. Difficile dire quale sia l’elisir dell’eterna giovinezza a cui si abbevera la sua ispirazione, ma la via principale per entrare nel suo mondo è probabilmente la visita alla retrospettiva che gli dedica in questi mesi il Museum Brandhorst di Monaco di Baviera (in programma fino al 22 aprile), curata da Jacob Proctor. Oltre novanta opere, tra tele di grande e piccolo formato, cutouts e schizzi, provenienti soprattutto dalla sontuosa collezione di Udo e Anette Brandhorst (lui è vivo, lei è morta nel 1999). La presenza di una ventina di opere di Katz tra gli acquisti dei raffinati mecenati tedeschi (negli anni hanno messo insieme la più importante raccolta europea di Cy Twombly e oltre cento opere di Andy Warhol), la dice lunga sul consenso che si è creato attorno al lavoro del pittore newyorkese. A Monaco è possibile ripercorrere tutto l’arco della produzione dell’artista americano, dagli anni Cinquanta fino al secondo decennio degli anni 2000, anche attraverso quadri-simbolo come The Black Dress (1960), Paul Taylor Dance Company (1963-64), Winter (1996) e Grey Coat (1997).

Alex Katz, Coca-Cola Girl 36, 2018, olio su lino. © Alex Katz/DACS, London/VAGA, New York, Courtesy Timothy Taylor, London/New York. Foto:

Alex Katz, Coca-Cola Girl 36, 2018, olio su lino. © Alex Katz/DACS, London/VAGA, New York, Courtesy Timothy Taylor, London/New York. Foto: Prudence Cuming Associates.

La vicenda di Alex Katz, stando alle sue parole, è stata quella di un continuo fraintendimento da parte della critica e del pubblico. “Mi piazzano sempre in contesti cui non appartengo”1, afferma in una intervista rilasciata a Donald Kuspit all’inizio degli anni Novanta: “Faccio teste grandi, e quindi pensano che sia un artista Pop. Credono che sia una soluzione debole al problema Pop. Non è vero, io non tratto temi Pop”2. D’altro canto, continua: “Siccome non ero un espressionista astratto, credevano che non avessi spessore, nulla a che fare con l’inconscio, come se questo potesse essere articolato solo in una direzione, attraverso un unico stile”3. Il pittore non ha mai nascosto l’ammirazione per i grandi della Scuola di New York, Jackson Pollock, Mark Rothko, Franz Kline, Willem de Kooning: il mondo all’epoca apparteneva a loro. Nessuno aveva la stessa spinta, la stessa energia, tanto da riuscire a spostare il baricentro del mondo dell’arte dalle macerie della vecchia Europa alla ragnatela di grattacieli di Manhattan. È l’inizio degli anni Cinquanta. Katz guarda e capisce, ma non si sente della partita. Non riesce a condividere quello che ormai era diventato quasi un dogma: un’immagine moderna non poteva che essere astratta. Quando inizia a lavorare, la prima mostra è del 1954, Edward Hopper è ancora in piena attività, ma appare chiaro che quel genere di figurazione appartiene al passato. Il giovane Alex sa che, se si vuole continuare a giocare nel campo della pittura figurativa, occorre andare in un’altra direzione ancora. Così, inizia a mettere a punto “un’arte rappresentativa che fosse realmente fisica”4, come spiega a Constance Lewallen nel 1991: “Si tratta di un’idea moderna in ambito pittorico ed è quello che mi prefiggo io. Visto che si dice che l’atto rappresentativo è obsoleto, io mi propongo di trovare il modo di renderlo parte del mondo moderno”5.

Alex Katz, Winter, 1996, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Winter, 1996, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

La strada intrapresa, e si capisce bene il perché, è tutta in salita: soggetti riconoscibili, come la vecchia figurazione, e la scala monumentale introdotta dalla Scuola di New York. Con il passare degli anni lo stile di Katz si va delineando: la figura o le figure umane si stagliano su sfondi omogenei (come Il pifferaio di Édouard Manet), la narrazione è assente. A volte il soggetto è ripetuto una o più volte (la moglie Ada, in The Black Dress, è replicata sei volte). Ed è forse il genere del ritratto di gruppo quello che restituisce in modo più intenso la temperatura straniante della pittura di Katz. Lo si può ben notare in opere come Lawn Party (1965) e Private Domain (1969), con la maestà dei suoi sei metri di larghezza, presente nella mostra al Brandhorst. Per il suo debutto italiano alla Galleria Emilio Mazzoli, nel 1990, Achille Bonito Oliva scrive: “L’artista americano fonda una sorta di realismo obliquo, teso verso l’affermazione di una visione nitida e precisa, una messa a fuoco e un punto di vista che riprendono l’ottica della fotografia e del cinema”6. Al centro delle tele di Katz non c’è “l’estasi materialista della Pop Art, il rilevamento statico delle cose, ma un movimento di smaterializzazione e di scontornamento che decontestualizza l’immagine e la pone unica protagonista dell’inquadratura”7. L’idea di scontornare tornerà protagonista nella serie dei cutouts8, dove le figure sono ritagliate e sostenute da strutture autoportanti. Lo sfondo non esiste più. “La figura è ripresa nella quiete di un gesto quotidiano”, continua il critico italiano: “spostata dal piano totale della sua esistenza in quello artificiale e ritagliato dell’arte, dove agisce appunto la selettività di un’attenzione che depura spazio e tempo e fonda la visione di una nuova immagine, fisica e mentale, frutto di un intreccio di manualità e intenso intellettualismo”9. Che per Katz la pittura sia cosa mentale non vi è alcun dubbio. Anche se i riferimenti culturali sembrano discostarsi da quelli che orientavano la stagione dell’Espressionismo astratto. In molti hanno indicato la consonanza della sua pittura con le atmosfere del cool jazz. Lo storico dell’arte tedesco Jochen Poetter ha dettagliato, riprendendo l’analisi che ne fece Herbert Hellhund, le caratteristiche del genere musicale nato a New York a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta: “Emotivamente controllato o indifferente, privo di impegno morale, arguto, attento, teso all’essenziale”10. E ancora: “Raffinato, attraente, concettuale”11. Tutte qualità che bene descrivono la pittura di Katz e nelle quali, lui stesso, si riconosce: “Quello era il jazz, una materia calda trattata in modo freddo. Preferisco Stan Getz a Sartre, la mia stilizzazione viene da Getz, non da chi ha fatto un uso smodato della filosofia”12.

Alex Katz, The Black Dress, 1960, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, The Black Dress, 1960, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

E quando in pittura si parla di “materia calda trattata in modo freddo” è difficile non pensare a Piero della Francesca, tanto che è proprio sul pittore di Sansepolcro che David Sylvester, in una lunga intervista registrata nel 1997, fa un affondo. Katz conferma l’intuizione: “Ero molto attratto da Piero nei primi anni Cinquanta e infatti ho fatto di tutto per ottenere la Fulbright (la borsa di studio Fulbright Scholar Fellowships in Fine Arts, nda) e andare in Italia a vedere le sue opere. Amo il Battesimo della National Gallery. I particolari sullo sfondo sembrano così nuovi, come se qualcuno li avesse fatti oggi. Amo la scelta dei suoi personaggi”13. Per Katz, Piero riesce a conferire ai gesti dei suoi personaggi una “qualità statica”, caratteristica che individua anche nei soggetti di Jacques-Louis David, definiti “estremamente chiari”14 e “molto decisi”. Del resto, afferma: “Io sono estremamente conscio dei miei tentativi di rendere i miei gesti chiari”. Prendete, per esempio, The Gray Coat (1997): sullo sfondo verde scuro uniforme si staglia la figura intera di Ada, moglie e musa di Katz, avvolta da un cappotto grigio. La donna è di profilo e volta la testa verso sinistra, guardando lo spettatore. Il braccio è piegato ad angolo retto e la mano sembra toccare con delicatezza lo stomaco. Le pieghe del soprabito sembrano congelate non dal freddo newyorkese, ma dal fermo-immagine di un videoregistratore (siamo negli anni Novanta). Gli occhi marroni. Tra i capelli grigi, alcune ciocche bianche. Il rossetto lucido riflette una luce che arriva da chissà dove. La figura occupa la metà sinistra del quadro, il resto è un vuoto verde. Ada, una donna ormai matura il cui fascino resta intatto nel tempo, quasi a immagine della pittura del marito, mostra se stessa sapendo di essere guardata da chi sta fuori dalla tela. Non sappiamo da dove venga. Non sappiamo dove si trovi e dove stia andando. Ciò che vediamo è solo la sua immagine algida. Quello che abbiamo di fronte fatica a suscitare in noi domande precise e, con tutta evidenza, non riesce a rispondere a quelle poche che in noi emergono. Oscar Wilde probabilmente la definirebbe una “sfinge senza enigmi15.

Alex Katz, Red Hat (Alba), 2013, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, collezione privata. Foto: Andreas Pauly.

Alex Katz, Red Hat (Alba), 2013, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, collezione privata. Foto: Andreas Pauly.

L’errore che non si dovrebbe fare guardando un’opera di Katz è quello di credere che ciò che stiamo guardando sia qualcosa d’altro che non mera pittura. E questo vale sia per i ritratti sia per i paesaggi. Le opere non hanno come soggetto una persona in particolare (significativamente, Katz si riferisce spesso ai ritratti come a delle “teste”), né raffigurano un paesaggio del Maine preciso (dove, dal 1954, possiede un secondo studio che usa durante l’estate). È come se il soggetto raffigurato fosse, semplicemente, il mezzo attraverso il quale arrivare al dipinto e l’esca per attirare lo spettatore. “Potrebbe essere una bella ragazza, o qualcos’altro”, dice Katz. “Quello che pensi di guardare potrebbe essere una cosa, ma questa cosa continua a cambiare”16. Nessun interesse per la psicologia o la sociologia, l’attenzione ai particolari ha più a che fare con una ricerca tassonomica17 e con la contemplazione del bello: “Vivo in una città in cui l’eleganza e la bellezza sono valori ed è per questo che diventano motivi di interesse della mia opera. Credo che molti trovino difficile accettare che queste cose – l’eleganza e la bellezza – siano arte, vogliono vedere messaggi sociali, sofferenza, espressioni interiori, tutte cose per le quali non ho alcun interesse”18. L’artista è concentrato sulla resa della precisa gradazione di colore o texture dei capelli o della pelle e, sopra ogni cosa, sulla loro relazione con la luce. Ed è proprio sulla resa della luce che si sofferma David Sylvester, lamentando l’insufficienza delle riproduzioni a stampa nel rendere la grandezza dei lavori di Katz19. Ed è lo stesso artista a rivendicare il primato della pittura sul soggetto ritratto (“Alla fine, il contenuto non è importante, è lo stile che conta”)20 e a confessare: “Non riesco a pensare a qualcosa di più eccitante della superficie delle cose”21. È forse questo disinteresse per il contenuto narrativo che ha salvato l’opera di Katz dalle secche in cui si è incagliata tanta pittura figurativa del Novecento che, ad anni di distanza, con eccezioni straordinarie, appare così datata. Il percorso del pittore newyorkese è andato nella direzione di una crescente semplificazione della composizione, che si è accompagnata a un’attenzione sempre più profonda per la resa pittorica. La classicità di queste immagini, il loro inserirsi in quella zona franca che riesce a far convivere pittura figurativa e arte concettuale, avvicina l’artista americano a un pittore che ha conquistato i cuori dei custodi della pittura-pittura, e le menti dei sacerdoti dell’avanguardia: Giorgio Morandi. Con lui Katz condivide la dimensione universale, il mistero, la lontana aura metafisica. Sono questi gli elementi della sua arte che, a bassa temperatura, hanno rallentato l’entropia del suo talento che, alla lunga, ha retto il passare del tempo.

Alex Katz
A cura di Jacob Proctor
Museum Brandhorst, Monaco di Baviera
6 dicembre 2018 – 22 aprile 2019

Alex Katz, Private Domain, 1969, olio su lino. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Galerie Thaddaeus Ropac, London / Paris / Salzburg. Foto: Charles Duprat.

Alex Katz, Private Domain, 1969, olio su lino. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Galerie Thaddaeus Ropac, London / Paris / Salzburg. Foto: Charles Duprat.

Alex Katz, Red Nude, 1988, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Red Nude, 1988, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Grey Coat, 1997, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Grey Coat, 1997, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Flowers 3, 2011, olio su tavola. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, collezione privata. Foto: Andreas Pauly.

Alex Katz, Flowers 3, 2011, olio su tavola. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, collezione privata. Foto: Andreas Pauly.

Alex Katz, Big Wave, 2001, olio su tavola. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, collezione privata. Foto: Andreas Pauly.

Alex Katz, Big Wave, 2001, olio su tavola. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, collezione privata. Foto: Andreas Pauly.

Alex Katz, January 4, 1992, olio su lino. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Galerie Thaddaeus Ropac, London / Paris / Salzburg. Foto: Ulrich Ghezzi.

Alex Katz, January 4, 1992, olio su lino. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Galerie Thaddaeus Ropac, London / Paris / Salzburg. Foto: Ulrich Ghezzi.

Alex Katz, Moonlight, 1997, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Moonlight, 1997, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, 3 p.m. November, 1996, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, 3 p.m. November, 1996, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Ives Field 1, 1964, olio su tela. © Barnett Newman Foundation/VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Jablonka Galerie, collezione privata. Foto:

Alex Katz, Ives Field 1, 1964, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, collezione privata.

Alex Katz, Paul Taylor Dance Company, 1963-64, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Paul Taylor Dance Company, 1963-64, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Paul Taylor, 1959, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Paul Taylor, 1959, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Udo and Anette Brandhorst Collection. Foto: Haydar Koyupinar, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco di Baviera.

Alex Katz, Emma 4, 2017, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Gavin Brown's Enterprise, New York / Rome, collezione privata. Foto:

Alex Katz, Emma 4, 2017, olio su tela. © Alex Katz, VG Bild-Kunst, Bonn 2018, Courtesy Gavin Brown’s Enterprise, New York / Rome, collezione privata.

Note

1 Donald Kuspit, Alex Katz. Night Paintings, Harry N. Abrams, New York, 1991, p. 64, testo citato da Kevin Power in “Giorni piacevoli e decorosi di chiacchierate: Alex Katz in compagnia dei poeti amici”, pubblicato in Alex Katz, a cura di Vittoria Coen, Galleria Civica di Arte Contemporanea, Trento, Hopefulmonster, Torino, 1999, p. 130.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

4 Constance Lewallen, “Interview with Alex Katz”, in View, vol. VII, n. 5, 1991, p. 5, testo citato da Margrit Brehm in “Arte attraverso la natura”, pubblicato in Alex Katz, a cura di Vittoria Coen, op. cit., p. 52.

5 Ibidem.

6 Achille Bonito Oliva, “Il realismo obliquo di Alex Katz”, in Alex Katz, Galleria Mazzoli, Modena, 1990, pubblicato in Alex Katz, a cura di Vittoria Coen, op. cit., p. 34.

7 Ibidem.

8 Matt Saunders, “The Cutouts”, in Alex Katz. Painting the Now, edited by Jacob Proctor, Museum Brandhorst, Hirmer, Munich, 2018, p. 38-40.

9 Achille Bonito Oliva, in Alex Katz, a cura di Vittoria Coen, op. cit., p. 34.

10 Jochen Poetter, “Something Hot Done in a Cool Way. On the Syncopated Compositions of Alex Katz”, in Robert Storr, Margrit Brehm, and Jochen Poetter, Alex Katz: American Landscape, Staatliche Kunsthalle, Baden-Baden, 1995, pubblicato in Alex Katz, a cura di Vittoria Coen, op. cit., p. 100.

11 Ibidem.

12 Ivi, p. 98.

13 David Sylvester, “Interview with Alex Katz”, in David Sylvester and Merlin James, Alex Katz. Twenty Five Years of Painting, The Saatchi Gallery, London, 1998, pubblicata in Alex Katz, a cura di Vittoria Coen, op. cit., p. 194.

14 Ibidem.

15 The Sphinx Without a Secret è un celebre racconto di Oscar Wilde, pubblicato nel 1887, in cui si narra di una donna “con la mania del mistero” (“Lady Alroy was simply a woman with a mania for mystery”), la cui bellezza è “modellata da molti misteri” (“Its beauty was a beauty moulded out of many mysteries”).

16 “Alex Katz interviewed by David Salle”, in Alex Katz: Unfamiliar Images, testi di Enzo Cucchi e Vincent Katz, Alberico Cetti Serbelloni Editore, Milano, 2002, p. 15, intervista citata da Kirsty Bell in “It Could Be a Pretty Girl, or It Could Be Something Else”, da Alex Katz. Painting the Now, edited by Jacob Proctor, op. cit., 2018, p. 11.

17 Ivi, p. 12.

18 David Sylvester, “Interview with Alex Katz”, op. cit., pubblicata in Alex Katz, a cura di Vittoria Coen, op. cit., p. 200.

19 David Sylvester, “Introduction”, op. cit., pubblicata in Alex Katz, a cura di Vittoria Coen, op. cit., p. 166-168.

20 “Alex Katz: ‘Ultimately, content is not important. The style is what is important’”, in Studio International, October 23, 2017.

21 Calvin Tomkins, “Painterly Virtues, Alex Katz’s life in art”, The New Yorker, August 27, 2018. “Ignoring character and mood, he offered the pure sensation of outward appearance—not who the people were, but how they appeared at a specific moment. ‘I can’t think of anything more exciting than the surface of things,’ he later told an interviewer”.


Luca Fiore

Milanese, giornalista, è stato caporedattore del Giornale del Popolo di Lugano e ora lavora a Milano per un bellissimo mensile che si chiama Tracce. Scrive di arte e fotografia per Il Foglio, e collabora con Klat. È pigro, e se ne vanta. Ama quell’aforisma di Oscar Wilde che recita: “Se si dice la verità si è sicuri di essere scoperti, prima o poi”.


Lascia un commento