L’Italia semplice e inedita di Giuseppe Loy

15 Novembre 2019

Ogni famiglia ha la propria storia da raccontare. Quella dei Loy è la storia di una famiglia d’intellettuali dai destini illustri che malgrado la notorietà ha mantenuto una garbata riservatezza, lontana dagli eccessi mediatici. E quello di Giuseppe Loy, in particolare, è il racconto di un amateur che ha fotografato tutta la vita, lasciando un archivio di migliaia di negativi e stampe d’epoca tutto da scoprire. Giuseppe Loy, fratello minore del celebre regista Nanni Loy, nasce a Cagliari nel 1928 e si trasferisce a Roma nel 1938. Dopo gli studi in legge, segue per un periodo di tempo le orme del fratello e si avventura nel mondo del cinema, ricoprendo i ruoli di segretario d’edizione e di produzione per alcune pellicole. Nel 1954 sposa Rosetta Provera, conosciuta nel mondo letterario come Rosetta Loy, autrice del pluripremiato romanzo Le strade di Polvere. Nel novembre 1965, la libreria Einaudi di via Veneto a Roma ospita la prima mostra fotografica di Giuseppe Loy; Antonio Arcari, che per l’occasione gli dedica un articolo sulla rivista Foto Magazin1, definisce l’esposizione un’eccezione nell’ambito della fotografia italiana, distinguendosi gli scatti di Loy per la freschezza autentica dello sguardo di chi fotografa per passione e non per professione. Giuseppe Loy, che dirige l’impresa di costruzioni della famiglia di sua moglie, si dedica alla fotografia seguendo un percorso non tradizionale, estraneo al dilettantismo dei circoli amatoriali e libero dai vincoli della professione. La fotografia lo accompagnerà tutta la vita.

Nanni Loy, 1970. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Nanni Loy, 1970. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

A quasi quarant’anni dalla sua morte, sebbene il nome della sua famiglia riecheggi nel panorama intellettuale italiano, in pochi sono a conoscenza della ricchezza dell’archivio fotografico creato durante il corso della sua vita. Migliaia di negativi e più di trecento stampe d’epoca sono conservati con cura nella grande casa di famiglia ai bordi della città di Roma, dove Rosetta tutt’oggi riceve visite di ospiti che accoglie mettendo a loro disposizione copie di libri cumulati negli anni e riordinati su un grande tavolo da biliardo. Solo dopo la prematura scomparsa di Giuseppe Loy, nel 1981, la grande mole di materiale è stata parzialmente organizzata in vista di un progetto editoriale, Il mare degli italiani, che avrebbe dovuto essere pubblicato per Laterza ma che non venne poi realizzato. Le stesse fotografie sono state esposte nel 2014, in occasione della mostra Questa è la tua lezione, a Cagliari, città natale di Loy, nella storica libreria di via Sulis. Sebbene la storia espositiva non abbia finora reso giustizia alla qualità dell’opera fotografica di Loy, alcuni scatti oramai noti – ritratti degli amici Alberto Burri, Lucio Fontana e Afro Basaldella nei rispettivi ateliers – hanno fatto breccia nell’archivio accomunando la figura di Loy ai maestri dell’Informale2. È in particolare alla figura di Burri che le fotografie di Giuseppe Loy vengono spesso associate3. Con Afro e Burri, che il caso vuole fosse all’epoca vicino di casa dei Loy, Giuseppe condivideva la passione per il tiro al piattello. Uno scatto divertente di Burri che impugna il fucile rievoca i pomeriggi trascorsi tra amici al tiro al piattello sulla via Tiberina.

Da sinistra a destra: Giuseppe Loy, Afro Basaldella e Alberto Burri al tiro al piattello di via Tiberina, Roma, 1967. Foto: autore sconosciuto, © Archivio Giuseppe Loy.

Da sinistra a destra: Giuseppe Loy, Afro Basaldella e Alberto Burri al tiro al piattello di via Tiberina, Roma, 1967. Foto: autore sconosciuto, © Archivio Giuseppe Loy.

Una recente mostra4 alla Fondazione Palazzo Albizzini – Collezione Burri, a Città di Castello, ha reso omaggio all’amicizia tra Burri e Loy, proponendo una ricognizione sui maggiori fotografi che hanno ritratto Burri in differenti momenti e circostanze della sua vita, tra i quali per l’appunto Giuseppe Loy e altri grandi nomi, da Gabriele Basilico a Ugo Mulas. Al di là dal fascino che questa serie di fotografie suscita per via dei soggetti ritratti, nei loro volti e nei loro gesti si rivela la cifra stilistica di Loy, che all’iconografia teatrale dell’artista nel suo atelier predilige i cenni minimi, i dettagli, le espressioni fugaci. Centinaia di scatti ritraggono gli artisti colti nella loro intimità, in momenti di riposo e contemplazione o nella semplicità del lavoro quotidiano. Loy rompe con la tradizione quasi mitica del pittore e dello scultore nello studio in favore di ritratti più spontanei di quelli che per lui sono, prima di tutto, dei cari amici. Un tale approccio contrasta, per esempio, con la ricercata teatralità delle sequenze fotografiche realizzate da Ugo Mulas a Lucio Fontana. La riflessione sul processo di creazione artistica cara a Mulas, i cui scatti in sequenza ne enfatizzano le fasi (meditazione, esecuzione e contemplazione dopo l’atto creativo)5, è ignorata da Loy e viene sostituita da una rappresentazione dello studio come ambiente intimo e domestico, dove l’artista vive, pensa e crea. Uno scatto che ritrae un Fontana dallo sguardo svagato dinanzi al manifesto di una sua mostra e una pila di carte disordinate, conferma la distanza di Loy dall’iconografia tradizionale e il suo scarso interesse nei confronti di una messa in scena troppo ricercata.

Ponza, 1973. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Ponza, 1973. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Semplice, dunque, è l’aggettivo che descrive il mondo visto attraverso l’obiettivo di Giuseppe Loy. Alla Biennale di Venezia del 1966, alla quale partecipano Burri, Fontana e Afro, Loy non perde occasione di catturare sguardi di visitatori perplessi o attoniti di fronte alle forme dell’arte contemporanea. Non manca nei suoi lavori una punta d’ironia. Il suo obiettivo si sposta tra i padiglioni della Biennale e si posa talvolta sul volto esageratamente sbigottito e buffo di un ragazzo davanti a una scultura, talaltra sul vestito stampato a fiori di una signora in contemplazione dell’opera High Voltage Painting di Martial Raysse, dando vita a una composizione fortuitamente pop. Ciò che finora non è stato sufficientemente raccontato è che l’avventura fotografica di Giuseppe Loy va ben oltre l’amicizia con Burri, Fontana e Afro, e l’archivio è la testimonianza di ciò che Loy stesso ha definito gli “appunti visivi” di una vita dedicata alla passione per la fotografia. Vi sono conservati centinaia di meravigliosi scatti d’epoca realizzati nei luoghi frequentati da Loy e dalla sua famiglia, dalle montagne di Ortisei, alle spiagge del litorale romano, a Civitavecchia, dove partiva il traghetto per la sua Cagliari. Queste fotografie, pressoché tutte inedite, raccontano la storia di una famiglia e, se viste da una prospettiva più ampia, rivelano molto della società italiana che Loy ha conosciuto, di cui è stato testimone e a suo modo cronista. Senza cedere al fascino della spettacolarizzazione, gli scatti di Giuseppe Loy sono un documento originale dell’Italia tra la fine degli anni Cinquanta e i primissimi anni Ottanta.

Ostia, 1960. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Ostia, 1960. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Nelle foto di Giuseppe Loy ricorre il mare, elemento che richiama la sua infanzia sarda, di cui conservava un ricordo quasi mitico. Quello immortalato da Loy è il litorale italiano dei traghetti in partenza e delle famiglie riunite: Ostia, Ponza, Civitavecchia, Sperlonga, Santa Marinella e la costa calabra sono alcune delle mete ricorrenti. Scene banali e attimi di vita comune vengono nobilitati senza voyeurismo dall’obiettivo di Loy, che privilegia punti di vista aerei e talvolta arditi, affascinato dalla presenza lungo i litorali di costruzioni artificiali. Il mare di Loy non è mai un mare solitario; ciononostante, se da una parte ombrelloni e sdraio movimentano il paesaggio, dall’altra la sua attenzione è rivolta al potere contemplativo del mare: un giovane si sporge dal muro del porto di Ponza e contempla assorto l’andirivieni dei marinai; alcune persone guardano il traghetto allontanarsi dal porto di Civitavecchia e forse salutano un’ultima volta i propri cari. La serenità che traspare dagli scatti di Loy rimanda ai maestri della scuola francese: dalle fotografie dei congés payés di Henri Cartier-Bresson, nel 1936, ai movimenti spensierati dei bagnanti di Jacques Henri Lartigue sulle spiagge di Biarritz. Rosetta Loy ricorda suo marito come un uomo ironico, e così sono le sue fotografie, dalle quali emerge il divertimento che provava nel dedicarsi alla sua passione. Consultare l’archivio di Loy significa apprezzare un insieme di immagini accomunate dal piacere puro e disinteressato per lo scatto. Le vacanze in montagna con la famiglia sono una parentesi di gioia e svago, e si traducono subito in una occasione di ricerca creativa. Loy esplora le possibilità estetiche che l’ambiente montano offre, rifuggendo dagli stereotipi della fotografia di paesaggio e traendo invece spunto per alcune tra le sue opere più concettuali. Le fotografie fatte a Ortisei, in Alto Adige, nel 1956, sono tra le prime realizzate e conservate in archivio. Numerosi i richiami alla tradizione fotografica, in particolare alle tipiche composizioni dall’alto di Rodchenko. Come un foglio bianco, la neve è per Giuseppe Loy lo spazio vergine dove dare sfogo alla creatività.

Campo de' Fiori, Roma, 1960. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Campo de’ Fiori, Roma, 1960. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Il puro piacere per lo scatto non impedì a Giuseppe Loy, che era un uomo molto impegnato politicamente, di usare la fotografia come strumento di indagine sociale. Comunista, non mancarono gli attriti con la ricca e cattolica famiglia della moglie; negli anni Sessanta fondò un centro di formazione culturale che si occupava di rifornire le biblioteche dei piccoli centri. Loy rivolge uno sguardo non neutro alle trasformazioni sociali ed economiche degli anni Sessanta e Settanta, e ai conseguenti cambiamenti dell’Italia del miracolo economico. Non sfugge all’obiettivo di Loy, che vuole ritrarre fedelmente l’Italia del suo tempo, la presenza insistente dei cartelloni pubblicitari, l’estetica del consumo che ridisegna in maniera sempre più invadente il paesaggio urbano. Loy immortala aree semi-abbandonate e grandi opere edili in costruzione. Ricorrono, tra i soggetti emblematici, le strade asfaltate in cui la presenza dell’uomo è ridotta al minimo, spesso un piccolo segno nelle composizioni dai forti contrasti di bianco e nero e di linee rette e curve; oppure la tangenziale di Roma, nel 1960, e i grandi viali del quartiere Tor di Quinto. L’attenzione rivolta al paesaggio in mutamento e l’osservazione dei luoghi anticipa per certi versi la ricerca di quella generazione di fotografi che è stata definita la Scuola italiana di paesaggio6, in particolare Luigi Ghirri, che con l’amico Franco Guerzoni non perdeva occasione di fotografare, a bordo di una Cinquecento, muri, rovine, impalcature ed edifici della periferia modenese in espansione7. Mai, però, l’impegno politico ha nociuto all’immediatezza dello sguardo di Loy, sempre libero da compromessi. Ne dà esempio la fotografia che ritrae due bambine che mangiano un gelato davanti a un manifesto che denuncia un episodio della crisi cubana. Un’immagine semplice, eppure carica di significato. Altrettanto emblematica è la fotografia che ritrae una donna raccogliere dell’acqua a una fontanella, davanti a un muro sul quale si staglia la scritta MSI. Lo stesso sguardo si ritrova nei ritratti che Loy realizza dei suoi figli, genuini e vivaci. Volti di bambini felici e pensierosi che si consegnano fiduciosi di fronte all’obiettivo e che oggi si affacciano dalle pareti della casa di famiglia a Sperlonga, donando all’ambiente allegria e serenità.

Corso Francia, Roma, 1981. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Corso Francia, Roma, 1981. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

A Loy va il grande merito di essere stato capace di lasciare ai posteri una traccia vivida e autentica della società in cui visse, senza esprimere un giudizio; l’Italia dei suoi cittadini e dei suoi artisti, catturati nell’istante di piccoli gesti. Attimi minimi e fuggevoli, pregnanti e sinceri, senza affettazione, raccontano una storia d’Italia in pillole, da nord a sud. Loy narra storie di personaggi illustri e di passanti, di calci al pallone e di bigliettaie al botteghino del cinema, di bambini e di famiglie in vacanza, sullo sfondo di un paesaggio che cambia velocemente. Un’Italia semplice, ma non per questo facile, raccontata con eleganza, senza mai cadere nella trappola degli stereotipi. Quella di Loy è una fotografia che ricerca le realtà minori, perché è nelle piccole cose e nei piccoli gesti che va cercata la verità. Lo afferma egli stesso in una delle tante poesie scritte e mai pubblicate: “Diffida del tripudio, conserva la breve gioia contenuta, alleva la serenità, coltiva a lungo la tranquillità razionale delle giuste premesse”.

Anna Loy, 1968. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Anna Loy, 1968. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Gaeta, 1979. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Gaeta, 1979. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Sperlonga, 1976. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Sperlonga, 1976. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Biennale di Venezia, 1966. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Biennale di Venezia, 1966. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Biennale di Venezia, 1966. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Biennale di Venezia, 1966. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Lucio Fontana nel suo atelier, 1966. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Lucio Fontana nel suo atelier, 1966. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Alberto Burri nel suo atelier, 1966. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Alberto Burri nel suo atelier, 1966. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Ortisei, 1956. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Ortisei, 1956. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Porto di Civitavecchia, 1960. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Porto di Civitavecchia, 1960. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Tor di Quinto, Roma, 1980. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Tor di Quinto, Roma, 1980. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Tangenziale, Roma, 1960. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Tangenziale, Roma, 1960. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Benedetta Loy, 1964. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Benedetta Loy, 1964. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Piazza Navona, Roma, 1964. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Piazza Navona, Roma, 1964. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Roma, 1961. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Roma, 1961. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Napoli, 1961. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Napoli, 1961. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Alberto Burri, tiro al piattello, via Tiberina, Roma, 1966. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Alberto Burri, tiro al piattello, via Tiberina, Roma, 1966. Foto: Giuseppe Loy, © Archivio Giuseppe Loy.

Note

1 Foto Magazin, 1/66, p. 29-31.

2 Una mostra delle fotografie di Burri, Afro e Fontana intitolata Questa è la tua lezione ebbe luogo presso la Galleria Il Segno nell’ambito della terza edizione di Fotografia – Festival Internazionale di Roma, a cura di Marco Delogu, nel 2004.

3 Un suo scatto è in copertina del volume Fontana e Burri, Un incontro senza incontri di Luigi Paolo Finizio, edito da Artemide nel 2013, e nove scatti sono pubblicati in Burri. Una vita di Piero Palumbo, edito da Electa nel 2007.

4 Obiettivi su Burri. Fotografie e fotoritratti di Alberto Burri dal 1954 al 1993, Città di Castello, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, 12 marzo 2019 – 12 settembre 2019, a cura di Bruno Corà.

5 Rosalind Krauss et al., Arte dal Novecento, Modernismo, Antimodernismo, Postmodernismo, Zanichelli, Bologna, 2010, p. 411-414. 

6 Roberta Valtorta, Luogo e identità nella fotografia italiana contemporanea, Einaudi, Torino, 2013, p. XVII. 

7 Franco Guerzoni, Nessun luogo. Da nessuna parte. Viaggi randagi con Luigi Ghirri, Skira, Milano, 2014. 


Chiara Agradi

Curatrice e ricercatrice, vive a Parigi ed è dottoranda all’Ecole du Louvre. Il suo campo di ricerca è l’uso di Polaroid nella pratica dei fotografi italiani dagli anni Settanta a oggi. Ha collaborato con il Cabinet de la Photographie del Centre Pompidou e ha lavorato presso il dipartimento di fotografia di Christie’s Londra e Parigi.


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