Marina Ballo Charmet
Con la coda dell’occhio

30 Gennaio 2018

Il concetto di creatività, sondato dalla scuola psicanalitica britannica, influenza fin dagli esordi, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, il lavoro fotografico e video di Marina Ballo Charmet, la quale, proprio attraverso fotografia e video svolge la professione di psicoterapeuta presso i servizi territoriali pubblici milanesi – soprattutto in ambito infantile. Questa forte connessione tra psicoterapia e fotografia, così come tra parola scritta e immagine, emerge costantemente all’interno di Con la coda dell’occhio. Scritti sulla fotografia (Quodlibet, 2017), dove si trovano riflessioni, prelevate da note, appunti e trascrizioni dell’autrice, che spiegano il tentativo di comunicare “qualcosa che ha a che fare con il Sé più autentico e insieme con la scoperta del mondo”. È la figura del bambino il filtro con cui leggere il suo intero operato. Quando in campo professionale si occupa dei più giovani, tramite l’ascolto, in una sorta di reciproco processo maieutico, Marina Ballo Charmet scopre non solo come osservare il mondo in quanto artista, cioè “con la coda dell’occhio”, ma anche cosa guardare, ovvero “il quotidiano, l’ordinario, l’incerto”. Porsi nei confronti dell’oggetto-luogo, del corpo o di qualsiasi “spazio esistenziale della quotidianità” in uno stato di meraviglia, è essenziale per riuscire a rappresentare oggettivamente ogni “esperienza della percezione”. I vari capitoli che si susseguono, in un ordine pressoché cronologico, illustrano come a questo incedere concettuale Marina Ballo Charmet accompagni coerenti scelte tecniche legate all’uso dello sfocato, del punto di vista, spesso ribassato, della distanza che pone tra lei e i soggetti e soprattutto della luce, elemento fondamentale e costante. Allo stesso modo, la fotografa ci parla delle sue decisioni legate alla presentazione dei lavori: dalla dimensione della stampa, che spesso rispetta la scala 1:1, alla modalità di allestimento. Ogni scelta ha l’obiettivo di trascinare lo spettatore all’interno del soggetto fotografato, mai di fronte, così da attivare un processo empatico piuttosto che descrittivo tra l’opera e chi la guarda. Non mancano, infine, le immagini di artisti che hanno esercitato una grande influenza su Marina Ballo Charmet, come Gabriele Basilico, Lewis Baltz e Timothy O’Sullivan. Materiali visivi che, insieme alle citazioni provenienti da autori di campi disciplinari diversi, come Anton Ehrenzweig, Salomon Resnik, Donald Winnicott, aiutano a chiarire meglio le sue intenzioni. Il volume, curato da Stefano Chiodi e arricchito da una conversazione dell’artista con Jean-François Chevrier, svela, senza alcuna riserva, i segreti, i riferimenti e i dubbi della propria ricerca – un’operazione decisamente rara.

Il limite. Laguna di Venezia, 1989.

Marina Ballo Charmet, Il limite. Laguna di Venezia, 1989.

Marina Ballo Charmet, Il Parco. Berlin, Preußenpark, 2007.

Rumore di fondo. Senza titolo #5, 1995.

Marina Ballo Charmet, Rumore di fondo. Senza titolo #5, 1995.

Con la coda dell’occhio. Senza titolo #28, 1993-1994.

Marina Ballo Charmet, Con la coda dell’occhio. Senza titolo #28, 1993-1994.

Rumore di fondo. Senza titolo #20, 1997.

Marina Ballo Charmet, Rumore di fondo. Senza titolo #20, 1997.

Persone, 1999, installazione permanente, MAPP (Museo d’Arte Paolo Pini), Milano

Marina Ballo Charmet, Persone, 1999, installazione permanente, MAPP (Museo d’Arte Paolo Pini), Milano.

Poco dopo. Senza titolo #11, 2005.

Marina Ballo Charmet, Poco dopo. Senza titolo #11, 2005.

Una   veduta della mostra Marina Ballo Charmet,  Centre National de la Photographie, Parigi, 1999.

Una veduta della mostra Marina Ballo Charmet, Centre National de la Photographie, Parigi, 1999.

Il parco, vista dell’installazione alla Triennale, Milano, 2008.

Marina Ballo Charmet, Il parco, vista dell’installazione alla Triennale, Milano, 2008.



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