31 Gennaio 2012
La scorsa settimana ho assistito a una liturgia perfetta iniziata con una cena per 140 invitati, seguita da un party con 2.000 persone e condivisa da altri 1.500 visitatori il giorno dopo. Cifre ragguardevoli che impallidiscono davanti al milione di utenti collegati al live streaming dell’evento 24h Museum, commissione di Prada per Francesco Vezzoli. Per un giorno, il Palais d’Iéna di Parigi, monumentale sede governativa già presa in prestito per le sfilate di Miu Miu, è diventato un museo estemporaneo con una collezione di sculture luminescenti come insegne pubblicitarie e incongrue come collage surrealisti. Tutti intorno – attori più o meno consapevoli di una performance collettiva che ha distillato la dimensione mondana e mediatica del mondo dell’arte – gli astanti: da Polanski alla studentessa di economia, dal pensionato a Kate Moss, da Anna Wintour alla drag queen… Tutti dentro alla gabbia di neon rosa progettata dallo studio AMO di Rem Koolhaas. Abbastanza da far storcere il naso ai puristi. Ma anche abbastanza per scatenare una frenesia collettiva che continua a proliferare in Rete. Fuori dalla sacralità del (vero) museo e protetto dall’allure e dal potere di Prada, Vezzoli ha osato più del solito. Si è divertito. E ha fatto divertire. Ma la questione è anche seria. Per 24 ore ha messo in scena un futuro possibile per l’arte (citando il passato delle feste barocche), oltre quei confini che alcuni perseverano a difendere, talvolta incoraggiando una visione elitaria della cultura.