3 Settembre 2015
La posizione lungo il Decumano, un po’ arretrata e con poco spazio attorno, non permette ai visitatori frettolosi di ammirare al meglio i volumi del padiglione cinese, che con i suoi 4.590 metri quadrati è il secondo più grande di Expo tra quelli stranieri. Eppure, oltre che imponente, quello cinese è sicuramente uno dei progetti più interessanti dal punto di vista architettonico e simbolico di tutta la manifestazione. Lo ha realizzato Link-Arc – lo studio newyorchese guidato da Yichen Lu – che con la Tsinghua University e il Beijing Qingshang Environmental & Architectural Design Institute ha vinto il concorso indetto dal governo di Pechino. Per la seconda potenza economica mondiale si tratta di una sorta di debutto, perché quello milanese è il primo padiglione cinese self-built realizzato all’estero. L’idea dei progettisti è stata quella di costruire un “campo di spazi”, non “un oggetto in una piazza”. L’ampiezza del lotto ha consentito infatti di creare un vero e proprio campo attorno all’ingresso: una vasta macchia di Tagete che richiama il giallo dei campi di frumento maturo e, indirettamente, l’importanza dell’agricoltura e del passato agricolo della Cina. La conformazione del tetto fa riferimento alla tradizione di tegole in ceramica dell’architettura cinese, anche se utilizza tecnologie moderne per creare un’unica struttura a campate che ospita un’installazione con migliaia di steli in policarbonato, ognuno dei quali amplifica la luce di un LED multicromatico: l’effetto estremamente suggestivo è di un grande campo mosso dal vento. Il sistema a sandwich della copertura è molto complesso: è formato da 1.052 pannelli in legno lamellare tagliati a forma di foglia di bambù, e da una membrana plastica che filtra la luce esterna. La stessa struttura del sito sottolinea la necessità di trovare un equilibrio tra la natura e lo sviluppo vorticoso delle metropoli: il lato sud della copertura ondulata richiama così il profilo delle montagne, mentre quello nord ricorda lo skyline della città di Pechino. Il concetto base è che l’uomo è parte integrante della natura e che deve salvaguardarne l’equilibrio come fa il buon contadino – da qui il nome del padiglione: Land of Hope, Food for Life. L’esposizione segue l’impostazione architettonica, articolandosi in quattro diverse aree dedicate rispettivamente a Cielo, Terra, Uomo e Armonia. In particolare, vengono illustrati il processo del raccolto secondo il calendario lunisolare, i cinque colori del suolo, il percorso produttivo del cibo, le otto famose scuole di cucina cinese, la cultura del tè e i progressi scientifici legati al mondo agricolo. In Land of Hope, Food for Life contenuto e contenitore sono legati da un filo rosso di coerenza.