9 Marzo 2016
Chissà se l’anziano Albert Einstein si sedette mai sulla Diamond Chair, concepita da Harry Bertoia all’inizio degli anni Cinquanta per la Knoll e ancora oggi in produzione. Forse gli avrebbe ricordato una deformazione della curvatura spazio-temporale, simile a quell’onda gravitazionale da lui prevista nel 1915 e confermata solo un secolo più tardi. In effetti, questa sedia ha qualche analogia con le rappresentazioni usate dai fisici per spiegare le teorie del grande scienziato: la Diamond Chair è infatti costituita da una griglia curvata per creare un incavo avvolgente, una warped surface che non distingue tra seduta e schienale, capace di accogliere i movimenti del corpo. Una sorta di versione metallica dell’amaca, con le fibre tese e deformate in base all’equilibrio complessivo. Bertoia (1915-1978), poliedrico artista nato in Italia ed emigrato giovane a Detroit, la disegnò poco dopo aver lasciato lo studio degli Eames in California, dove era entrato in contatto con il mondo del furniture design, preferendo però il metallo al compensato tanto caro a Charles Eames. I due si erano conosciuti alla Cranbrook Academy of Art, nel Michigan, mitica scuola sperimentale frequentata anche da Ray Kaiser (la futura signora Eames), Florence Schust (la signora Knoll) ed Eero Saarinen: lì Bertoia aveva diretto il laboratorio di metallurgia fino al 1943, quando le esigenze belliche avevano causato una scarsità di materiali. Si era poi trasferito sulla West Coast, dove studiò saldatura e realizzò sculture con questa tecnica e, negli stessi anni, iniziò l’esplorazione di una particolare forma geometrica che nel secondo dopoguerra si diffuse in tutto il mondo: il paraboloide iperbolico, una superficie rigata – cioè ottenuta dall’unione di linee rette – che consentiva facile calcolabilità e grande libertà espressiva. Fu dunque sommando la dimestichezza con la piegatura del metallo (“Mi dava gioia prendere una barra e piegarla, faceva parte della mia natura”), l’esperienza a fianco di Eames e la sicurezza economica assicuratagli dai coniugi Knoll (che nel 1950 lo invitarono a lavorare in Pennsylvania) che Bertoia partorì la celebre sedia, presto divenuta icona del design postbellico. Evidente è il grado di parentela con la coeva Wire Chair degli Eames, tanto che Bertoia fu costretto a cambiare uno dei dettagli perché già brevettato dai colleghi, dopo che Herman Miller aveva fatto causa a Knoll. Sembra la storia dei mobili in tubolare metallico negli anni Venti: chi fu il primo? Marcel Breuer? Mart Stam? Ludwig Mies van der Rohe? “Take wire and add poetry”, recitava una vecchia pubblicità della Diamond Chair: “Prendi un filo e aggiungici un po’ di poesia”. Il filo può anche essere lo stesso, ma le poesie – anche se scritte con le medesime parole – sono sempre diverse.