Carsten Nicolai
Interview

29 Ottobre 2012

Unidisplay, ultima installazione dell’artista tedesco Carsten Nicolai, è il tentativo di produrre un linguaggio universale – alfabeto terrestre di immagini e suoni – visibile per la prima volta in Europa all’Hangar Bicocca di Milano. Di stanza a Chemnitz e a Berlino, Nicolai è un “veterano” nel mondo dell’arte: vincitore dello Zurich Prize nel 2007, ha preso parte a Documenta X, Kassel, e a due Biennali di Venezia. Celebre compositore e produttore musicale sotto lo pseudonimo di Alva Noto, fa della propria arte una meditazione sul rumore e il suono, sul linguaggio e l’immagine. Ricerca volta a svelare il senso della più primordiale fra le esperienze umane: in che modo percepiamo il mondo.

Cominciamo dal tuo ultimo lavoro: Unidisplay, in mostra all’Hangar Bicocca di Milano. L’installazione è costituita da uno schermo lungo circa 50 metri su cui si susseguono immagini astratte in movimento e  dall’estetica minimale, che si espandono all’infinito attraverso le pareti specchianti alle due estremità. La componente visuale è fortemente correlata a quella sonora, in un dialogo serrato tra forme grafiche, suoni e rumori. Lo spettatore siede, dinanzi allo schermo, su una panca che vibra ai continui impulsi sonori. Il titolo dell’opera è un’associazione di due parole: ‘universal’ e ‘display’. Cosa intendi comunicare attraverso questo accostamento linguistico?

Il termine ‘universal’ – universell in tedesco – indica una sorta di contenitore capace di raccogliere più elementi al suo interno, ognuno dei quali può costituire un’installazione a sé stante. ‘Universal display’ equivale dunque a una rappresentazione simultanea di più unità. Nello specifico, Unidisplay può essere letto secondo tre differenti parametri. Il primo è quello relativo alla percezione: l’installazione si propone di indagare il modo in cui il nostro cervello lavora e percepisce la realtà. Il secondo è l’aspetto semiotico: il lavoro rivela l’esistenza di un linguaggio alternativo e universale, basato sulle immagini e privo di lettere o numeri. Infine, il parametro relativo al tempo: l’opera funziona come un grande orologio visuale, in cui vengono rappresentati graficamente i vari cicli temporali.

Carsten Nicolai, Unidisplay, 2012. Photo: Agostino Osio

Carsten Nicolai, Unidisplay, 2012. Photo: Agostino Osio

Carsten Nicolai, Unidisplay, 2012. Photo: Agostino Osio

Carsten Nicolai, Unidisplay, 2012. Photo: Agostino Osio

Che rapporto esiste tra Unidisplay e i tuoi lavori precedenti? Mi riferisco in particolare alla serie Uniscope.

Uniscope indica un insieme di lavori che accompagnano le mie performance musicali. Si tratta di “visualizzatori” di suoni in tempo reale. Unidisplay è il compagno “visuale” di Uniscope, dal momento che la forza trainante del primo non è più il suono, ma l’immagine. In Unidisplay l’aspetto sonoro costituisce soltanto un dolce supporto alle forme in successione, non è più necessario.

Dunque è possibile parlare di un passaggio nella tua pratica artistica: dal tentativo di trasformare la musica in immagine – nato dalla volontà di visualizzare il suono –, all’attenzione all’immagine in sé e alle modalità della percezione visiva. Percezione che, in Unidisplay, viene costantemente disturbata dall’uso di particolari effetti visivi quali l’illusione ottica, il flickering e la complementarietà dei colori.

In realtà non credo si possa parlare di un vero e proprio passaggio, poiché entrambi gli approcci che descrivi sono sempre esistiti nel mio lavoro – ma forse non visibili in modo così palese. Da sempre, ho cercato di distinguere concettualmente le mie performance live dalle mie installazioni: la performance ha una durata limitata, dunque un inizio e una fine, durante la quale desidero esprimere la fisicità del suono. Al contrario, quando realizzo le mie installazioni, m’interessa estendere la durata: prima di tutto non c’è bisogno che io sia presente, e in secondo luogo ciascuno può decidere di venire e fruire l’opera in qualsiasi momento. Inoltre, in un’installazione cerco di generare nello spettatore un’esperienza dall’intensità costante, nient’affatto “drammatica” o discontinua come nelle performance. Le mie installazioni sono paragonabili a degli altipiani, non a montagne che salgono e scendono a picco.

Carsten Nicolai, Moiré S7, 2010. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin and The Pace Gallery. Photo: Uwe Walter, Berlin.

Carsten Nicolai, Moiré S7, 2010. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin and The Pace Gallery. Photo: Uwe Walter, Berlin.

Sei nato a Chemnitz, ex Karl-Marx-Stadt nell’epoca della DDR, città con una forte tradizione di lavorazione dei tessuti. Credi che ciò ti abbia influenzato in qualche modo?

Totalmente. Sono cresciuto circondato da fabbriche tessili e macchinari industriali: Chemnitz appariva più o meno come Detroit. Inoltre, vi erano scuole di disegno tessile e vivevo in mezzo a gente che possedeva macchinari per l’incisione. Dopo la caduta del muro, queste fabbriche chiusero i battenti: ciò mi diede la possibilità di esplorarle. Scoprii splendide collezioni di disegni realizzati per telai e apparecchi specifici. I pattern di tali disegni hanno fortemente influenzato il modo in cui cerco di visualizzare il suono. Opere come i Moiré Drawings (2010) traggono ispirazione proprio dai tessuti.

Passiamo al tuo metodo di lavoro. Utilizzi costantemente sofisticati strumenti tecnologici e la tua pratica incrocia diverse discipline, tra cui la fisica, la chimica, la matematica, la psicologia percettiva. In che modo sviluppi le tue idee?

Alla base del mio lavoro vi è un’incredibile fascinazione per le macchine e la tecnologia: studio questi strumenti, faccio costanti ricerche. Dal punto di vista della teoria, non sono affatto uno scienziato. Talvolta mi capita di leggere relazioni scientifiche, ma mi avvicino a esse come fossero poesie e prendo spunto da ciò che mi pare di aver compreso. Molto spesso le medesime idee ritornano, anche dopo diversi anni. Esistono delle forti connessioni tra tutte le mie opere. Ad ogni modo, quando realizzo un’installazione penso all’obiettivo che voglio raggiungere: esso consiste nel tracciare una linea tra un elemento A e un elemento B. Posso raggiungere il mio scopo soltanto mediante la discussione, lo stravolgimento degli assunti iniziali, l’errore. Non seguo alcuna strategia, ma soltanto i miei personali bisogni. Quello che faccio nasce, in un certo senso, da un atteggiamento egocentrico ed egoistico.

La polarità tra due elementi costituisce uno dei temi maggiori della tua pratica artistica. Penso a un lavoro come Inver (2005), in cui contrapponi due elementi opposti: da un lato una sorgente luminosa bianchissima, dall’altro una macchia nerissima. Spiegami meglio tale concetto.

Nei miei lavori spesso desidero che due elementi in opposizione s’incontrino. Ma ciò che mi interessa di più è lo spazio di mezzo, un vero e proprio spazio fisico. Probabilmente questo interesse deriva dalla mia formazione come architetto paesaggista: è possibile creare spazi all’aria aperta senza erigere muri ma raggruppando diverse unità. In questo modo, è possibile generare spazi mediani, interstizi tra più elementi.

Carsten Nicolai, Snow Noise, 2001. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin and The Pace Gallery. Photo: Uwe Walter, Berlin.

Carsten Nicolai, Snow Noise, 2001. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin and The Pace Gallery. Photo: Uwe Walter, Berlin.

Il concetto di polarità assume, nel tuo lavoro, anche altre declinazioni: diviene dialettica tra immagine e suono – come abbiamo già potuto constatare –, ordine e disordine, visibile e invisibile.

La mia installazione Snow Noise (2001), ispirata al saggio intitolato Snow Crystals: Natural and Artificial dello scienziato giapponese Ukichiro Nakaya, contrappone il processo della creazione dei cristalli di neve – processo che avviene in tempo reale grazie a un macchinario apposito – alla rappresentazione schematica delle diverse tipologie di cristalli sulla parete antistante. Non vi è mai un’assoluta corrispondenza tra il cristallo reale e la sua rappresentazione, dal momento che vi è sempre un elemento che sfugge a ogni categorizzazione. In questo senso, il mio lavoro indaga il rapporto tra ordine e caos, al fine di comprendere il ruolo che l’“errore” assume nella realtà. Così come la polarità tra visibile e invisibile. Mentre esistiamo e camminiamo per le strade, noi non abbiamo idea di come funzioni la radioattività o il magnetismo. Molte mie installazioni cercano di rivelare tali meccanismi “invisibili”. Di grande ispirazione alle mie creazioni è stato lo scienziato di origine serba Nikola Tesla, il quale ha condotto moltissime ricerche sulla frequenza e la trasmissione delle onde. Egli credeva nella telepatia…

Hai un alter ego, Alva Noto, musicista attivo sulla scena elettronica di ricerca berlinese. Nel 1999 hai fondato l’etichetta discografica Raster-Noton, hai collaborato con musicisti straordinari quali Ryuichi Sakamoto e Ryoji Ikeda, e realizzi le tue performance musicali in tutto il mondo. Qual è il rapporto tra la tua attività come artista visivo e quella di musicista?

Si tratta di due attività che, all’esterno, tendo a separare. Il mondo dell’arte e quello della musica costituiscono due strutture estremamente diverse, basate su dinamiche e sistemi comunicativi differenti. Tuttavia, sul piano creativo e personale, non sono affatto due pratiche distinte, nascono dalla medesima urgenza creativa.

Per concludere, parlami dei tuoi progetti imminenti.

Al momento sto lavorando a un nuovo progetto musicale, intitolato Diamond Version, insieme al musicista Byetone. Si tratta di un progetto chiaro, limpido e fortemente ritmico. Come artista visivo, invece, desidero proseguire sulla linea avviata da Unidisplay: ho in mente di estendere concettualmente il lavoro, di modo che divenga il mio nuovo tema d’indagine principale.

Carsten Nicolai, Unidisplay, 2012. Photo: Agostino Osio

Carsten Nicolai, Unidisplay, 2012. Photo: Agostino Osio

Alva Noto, Uniscope, 2011.

Alva Noto, Uniscope, 2011.

Carsten Nicolai, Inver, 2005. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin e The Pace Gallery. Photo: Uwe Walter, Berlin.

Carsten Nicolai, Inver, 2005. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin e The Pace Gallery. Photo: Uwe Walter, Berlin.

Carsten Nicolai, Pionier II, 2009. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin e The Pace Gallery. Photo: Amedeo Benestante

Carsten Nicolai, Pionier II, 2009. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin e The Pace Gallery. Photo: Amedeo Benestante

Carsten Nicolai / Marko Peljhan, Polar ᵐ [mirrored], 2010. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin e The Pace Gallery. Photo: Ryuihci Maruo (YCAM Yamaguchi Center for Arts and Media)

Carsten Nicolai / Marko Peljhan, Polar ᵐ [mirrored], 2010. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin e The Pace Gallery. Photo: Ryuihci Maruo (YCAM Yamaguchi Center for Arts and Media)

Carsten Nicolai, Frozen Water, 2000. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin e The Pace Gallery. Photo: Uwe Walter, Berlin

Carsten Nicolai, Frozen Water, 2000. Courtesy: Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin e The Pace Gallery. Photo: Uwe Walter, Berlin


Federico Florian

Storico dell’arte e aspirante scrittore, vive a Milano e ha un debole per l’arte contemporanea. Collabora con Arte e Critica e altre testate. Violinista e instancabile viaggiatore, ama la buona letteratura. Sogna una critica d’arte agile e fresca, e aspetta di scrivere il romanzo perfetto.


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