24 Ottobre 2016
La musica è elemento di coesione, lotta ed emancipazione sociale, e il nuovo National Museum of African American History and Culture, promosso e amministrato dalla Smithsonian Institution, l’ha integrata in ogni capitolo del suo percorso dedicato alla comunità afroamericana. Una storia da attraversare al ritmo dei canti spirituali degli schiavi, di James Brown, Nina Simone, Donna Summer o Public Enemy, che finalmente vede riconosciuto senza compromessi il suo fondamentale contributo alla costruzione dell’identità di un Paese. Cinque piani espositivi, tre dei quali interrati, raccontano cronologicamente un’avventura secolare fatta di ingiustizie, contrasti e riscatti. Testimone ingombrante del primo capitolo di questa avventura è una capanna di pochi metri quadrati che ha ospitato dodici schiavi nella Carolina del Nord, a partire dal 1850, insieme al vagone di un treno per soli neri della Southern Railway Company. Accanto e intorno una cultura materiale povera ma simbolica, come lo scialle di Harriet Tubman, attivista e spia: contribuì a liberare centinaia di oppressi. Il secondo capitolo è dedicato alla lotta per la libertà, incentrata sulla marcia di Martin Luther King da Selma a Montgomery, sui movimenti studenteschi, il Ku Klux Klan e le Pantere Nere, per arrivare alla storia più recente, recuperando riferimenti socioculturali spesso sottovalutati. Il terzo capitolo è focalizzato sull’impegno sociale come forma di resistenza e di speranza: nello sport, dove a eccellere nel mondo sono atleti afroamericani come Wilma Rudolph, Muhammad Ali, “Magic” Johnson; o nella Guerra del Vietnam, dove molti giovani di colore furono arruolati per posizioni di soldato semplice, e in pochi tornarono a casa vivi. Nella medicina spunta il nome di William Montague Cobb, che negli anni Quaranta contrastò la leggenda della presunta inferiorità razziale con il supporto della scienza, mentre in politica l’omaggio è a Obama, al movimento Black Lives Matter e ai militanti per il riconoscimento dei diritti dei neri, uomini e donne. Al quarto piano, l’ultimo capitolo rompe gli indugi sulle influenze della cultura afroamericana: sotto la lente d’ingrandimento ci sono jazz, hip-hop, sitcom, cinema, arte visiva e artigianato. Dal mitico programma televisivo Soul Train a Michael Jackson, da Kara Walker a Rashid Johnson, per non dimenticare nessuno, tra memorabilia, opere d’arte e citazioni. In questo museo, progettato da David Adjaye, si piange e si ride, si balla e si impara: ed è tutto vero.
National Museum of African American History and Culture
Smithsonian Institution
Progetto di David Adjaye
Washington