22 Novembre 2017
Cosa potrà mai spingere un artista a lavorare per sessant’anni con un linguaggio, quello pittorico, che odora sempre più di tradizione, di passato – soprattutto in America, soprattutto negli anni Cinquanta? Un artista che ha come amici il compositore concettuale John Cage e il coreografo d’avanguardia Merce Cunningham, e il cui mentore è quel Marcel Duchamp che si è inventato i ready-made, portando la realtà nello spazio dell’arte e mettendo in crisi il binomio arte-illusione. Jasper Johns ha risposto nel 2006, e quella preziosa risposta è adesso il titolo di un’esposizione antologica con oltre 150 sue opere in cui la tela è solo la base di una ricerca profonda e mai sazia di “qualcosa che assomigli al vero”. La mostra – ora a Londra, poi a Los Angeles – si snoda attraverso un percorso tematico che però si apre e si chiude in modo cronologico, evidenziando i rimandi all’infanzia della produzione recente di Johns, dove la riflessione sulla mortalità passa dalla memoria, e i riverberi estetici, letterari e filosofici di una vita accumulati sulla superficie della tela. Nelle prime sale si incontrano le bandiere, i bersagli, i numeri e le parole che hanno reso celebre l’artista. Ogni segno, ricostruito con tecniche miste, dal collage all’incausto, è riconoscibile, ma decontestualizzato; esiste in uno spazio astratto puntellato di riferimenti alla realtà, spesso mediato da pennelli, neon, righelli e tracce di vario tipo: tutti testimoni di un cortocircuito tra processo e opera d’arte. Negli anni, Johns ha sperimentato anche nel campo dell’astrazione, si è cimentato in autoritratti, raffigurazioni delle quattro stagioni, della vanitas e del conflitto tra eros e thanatos nella simbologia tantrica. Nelle sue mani, la tela è tridimensionale, tattile, sensuale, ammiccante e spesso ermetica; è la base e il punto di rottura, l’inizio e la fine.
Jasper Johns. Something Resembling Truth
Royal Academy of Arts, Londra
23 settembre – 10 dicembre 2017