23 Ottobre 2013
La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio.
Italo Calvino, Le città invisibili (VII capitolo: Le città continue, 1)
A detta di Baudrillard, il corpo dell’uomo post-moderno è un dispositivo in continua mutazione. L’io, nell’epoca delle brevi narrazioni, si riduce a corporeità: ogni sua definizione in termini filosofici o metafisici cede il posto a una mera definizione operativa – si è esaurito lo spazio per l’anima, non vi è più bisogno di trascendenza. “Il nostro essere si consuma nelle sue concatenazioni molecolari e nelle sue circonvoluzioni neuroniche”, afferma il filosofo: non siamo altro che “mutanti potenziali”, descritti da un codice genetico e cerebrale aperto a configurazioni imprevedibili. Questo corpo bionico e post-umano viene visto da Baudrillard come la conseguenza di un processo degenerativo, che porta alla proliferazione di protesi-metastasi – un cancro che affligge un corpo liquido, privo di confini e identità precostituite.
Ali Kazma, l’artista protagonista del padiglione turco, non pare condividere il catastrofismo baudrillardiano. Resistance, il titolo della sua ambiziosa video-installazione all’Arsenale, riflette sul concetto di corpo, limite e identità in piena epoca post-moderna. I video sono stati girati dall’artista nell’arco di circa un anno, in diverse città del mondo, tra cui Parigi, Londra, Berlino, Istanbul, New York. Il lavoro presenta un campionario delle pratiche e degli interventi a cui oggi viene sottoposto il corpo umano: culturismo, tatuaggi, bondage, operazioni chirurgiche, protesi artificiali, sperimentazioni robotiche. La macchina da presa di Kazma documenta e ispeziona quel corpo “mutante” di cui ci parla Baudrillard – un apparato in costante evoluzione, una simbiosi di naturale e artificiale, i cui attributi si rinnovano in un incessante fluire. Tuttavia, più che un corpo ammalato e corrotto, quello filmato dall’artista è un corpo intrepido, temerario: diviene un mezzo di resistenza, un congegno destinato a superare i limiti e le costrizioni imposte dalla natura e dalla cultura.
L’indagine di Ali Kazma non è una mera investigazione antropologica. A ben vedere, assume i tratti di una riflessione politica. La resistenza cui allude l’artista rimanda a una lotta: quella dell’uomo contro le restrizioni sociali e le imposizioni culturali, finalizzata al raggiungimento di una piena libertà individuale. E in questa battaglia il corpo – potenziato, trasformato, alterato – diviene il simbolo del dissenso. Il sottile messaggio politico di Resistance pare rievocare i fatti recenti della storia turca: come non pensare alle vicende di Occupy Gezi? Alla resistenza dei cittadini di Instabul contro le forze governative a Taksim, la primavera scorsa? L’installazione di Kazma è un invito a perseverare, lottare e resistere: attraverso ciò che abbiamo di più intimo e familiare – il nostro corpo.
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