Biennale di Venezia, Arte 2013
Stati Uniti

11 Settembre 2013

Con tale arte fu costruita Andria, che ogni sua via corre seguendo l’orbita d’un pianeta e gli edifici e i luoghi della vita in comune ripetono l’ordine delle costellazioni e la posizione degli astri più luminosi: Antares, Alpheratz, Capella, le Cefeidi. Il calendario della città è regolato in modo che lavori e uffici e cerimonie si dispongono in una mappa che corrisponde al firmamento in quella data: così i giorni in terra e le notti in cielo si rispecchiano.

Italo Calvino, Le città invisibili (IX capitolo: Le città e il cielo, 5)

Nel suo dipinto dal titolo The Ancient of Days, William Blake raffigura un possente uomo barbuto – una sorta di pagano Demiurgo – accovacciato sulla superficie solare e intento a tracciare con un compasso d’oro l’esatta curvatura della Terra. Come racconta il mito di Platone, Demiurgo compone l’universo a partire da cubi e tetraedri: ordina, assembla e combina forme geometriche, come un infallibile ingegnere celeste.

In un certo senso, la grande installazione di Sarah Sze nel Padiglione statunitense tradisce un’affine energia creatrice. Il lavoro dell’artista americana si espande per le stanze dell’edificio neo-palladiano, ne occupa gli angoli e i recessi, decostruendo l’architettura del luogo. Una galassia di oggetti disparati (foglie, pietre, cartoline, nastri colorati, bottiglie, libri, bicchieri) compone un ricchissimo microcosmo, delicato, babelico, colorato. Lungi dalla perfezione dell’impresa del Demiurgo di Blake, l’universo molteplice di Triple Point s’ispira (apparentemente) al principio di casualità più che a un geometrismo ostinato; contempla falle e difetti, a scapito dell’esattezza matematica dell’insieme. Sarah Sze riproduce un mondo reduce da una deflagrazione cosmica: è quel che resta di un antico ordine astrale.

Biennale Arte 2013, Padiglione USA

Sarah Sze, Triple Point (Observatory), 2013. Courtesy: Sarah Sze, Tanya Bonakdar Gallery (New York) e Victoria Miro Gallery (London). Foto: Tom Powel Imaging.

Percorrendo le sale del padiglione, ci si sente disorientati. L’ingresso tradizionale dell’edificio – la facciata classica con il pronao a colonne – è ora inaccessibile; le sculture ridefiniscono gli spazi, modificano il percorso di visita consueto. Viene meno ogni criterio di ordinamento razionale; l’accostamento degli oggetti pare accidentale. Tuttavia, i lavori labirintici di Sarah Sze rifuggono qualsiasi interpretazione post-modernista: l’artista non rinuncia alle grandi narrazioni del mondo, pur sapendo che saranno lacunose e imperfette. Proprio come il fragile mondo di Triple Point.

Biennale Arte 2013, Padiglione USA

Sarah Sze, Triple Point (Orrery), 2013. Courtesy: Sarah Sze, Tanya Bonakdar Gallery (New York) e Victoria Miro Gallery (London). Foto: Tom Powel Imaging.

Il titolo della mostra allude a una nozione di termodinamica: il punto triplo è il momento in cui coesistono le diverse fasi di aggregazione di una sostanza – gli stati solido, liquido e gassoso. Si tratta di un equilibrio precario e destinato a incrinarsi; una sorta di campionario temporaneo delle varie conformazioni che può assumere la materia. Triple Point richiama, nella disposizione degli oggetti, una specie di catalogo pseudo-scientifico. Assomiglia a una bizzarra camera delle meraviglie, colma di oggetti di poco pregio che compongono strambe costellazioni galattiche. Una summa del mondo soggettiva, incompleta, immaginifica. Un equivalente visuale del Voyager Golden Record, l’archivio terrestre di suoni, immagini e parole lanciato nello spazio nel 1977. Proprio come quest’ultimo, il lavoro di Sarah Sze costituisce un curioso inventario del nostro mondo – ma concepito per noi, i suoi abitanti, più che per forme di vita extraterrestri.

Biennale Arte 2013, Padiglione USA

Sarah Sze. Foto: Suki Dhanda.

Biennale Arte 2013, Padiglione USA

Sarah Sze, Triple Point (Pendulum), 2013. Courtesy: Sarah Sze, Tanya Bonakdar Gallery (New York) e Victoria Miro Gallery (London). Foto: Tom Powel Imaging.

Biennale Arte 2013, Padiglione USA

Sarah Sze, Triple Point (Planetarium), 2013. Courtesy: Sarah Sze, Tanya Bonakdar Gallery (New York) e Victoria Miro Gallery (London). Foto: Tom Powel Imaging.

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Federico Florian

Storico dell’arte e aspirante scrittore, vive a Milano e ha un debole per l’arte contemporanea. Collabora con Arte e Critica e altre testate. Violinista e instancabile viaggiatore, ama la buona letteratura. Sogna una critica d’arte agile e fresca, e aspetta di scrivere il romanzo perfetto.


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