Biennale di Venezia, Arte 2013
Irlanda

31 Luglio 2013

Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti.

Italo Calvino, Le città invisibili (IX capitolo: Le città nascoste, 2)

“Solitaria è la vita dell’uomo, e povera, pericolosa, brutale e breve”. Con queste parole Thomas Hobbes, nel suo Leviatano, definiva lo stato di natura, condizione primitiva dell’uomo, in cui non vi sono né Stato né leggi, in cui vige l’anarchia totale e vi è una situazione di guerra perpetua. Un regime “naturale” in cui l’uomo rivela la sua essenza più profonda, quella di lupo divoratore, nemico dei suoi simili. Homo homini lupus, come scrisse Plauto in una delle sue celebri commedie.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, Beaucoups Of Blues, North Kivu, Eastern Congo, 2012.

The Enclave, la video-installazione di Richard Mosse per il Padiglione irlandese pare visualizzare tale mitico e primordiale stato di natura. Ci troviamo nel Congo orientale, un territorio ingovernabile, afflitto da una guerra civile di cui poco si conosce e a stento si parla – un’enclave del potere ribelle, una porzione di terra fuori dall’orbita del controllo governativo. Qui prevalgono corruzione, violenza e morte – il paesaggio si tinge di rosso, il colore del sangue, e di blu cobalto, il colore della rassegnazione.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, The Enclave, 2013.

Le prime immagini che incontro sono le fotografie di un nitido paesaggio africano – quieto, maestoso, come un sublime panorama romantico. Le tinte sono quelle del magenta, del porpora e del blu: l’artista ha utilizzato una pellicola in 16 mm capace di registrare una porzione di spettro di luce infrarossa – invisibile all’occhio nudo, nata per fini militari e rilevamenti nascosti. Procedo nell’ambiente successivo, una stanza buia con una video-installazione su sei schermi. I suoni in sottofondo – dai toni pulsanti, minacciosi (l’audio è stato concepito da Ben Frost a partire da registrazioni realizzate sul campo) – accompagnano riprese di soldati sul posto di guardia, di cadaveri adagiati sulla strada, di donne e bambini mentre affrontano la tragedia quotidiana della guerra. L’immagine passa da un video all’altro – ora rallenta, ora accelera, si arresta per poi ricominciare a scorrere, strisciando tra le pieghe degli schermi come un soldato in territorio nemico.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, The Enclave, 2013.

I video presentano gli stessi colori delle fotografie – una tavolozza di rossi, rosa e blu –, in grado di conferire alle immagini in movimento un’incredibile qualità formale (l’artista vuole mettere alle strette lo spettatore, ponendolo dinnanzi a un conflitto insolubile, quello tra etica ed estetica, fra coscienza morale e godimento visivo: è possibile provare piacere nell’osservare immagini così strazianti e drammatiche?).
La bellezza è il fine ultimo dell’arte di Richard Mosse: la sua (un’operazione artistica in tutto e per tutto, priva del carattere oggettivo del reportage giornalistico) è una rievocazione personale della guerra civile in Congo, una narrazione tanto realistica quanto immaginifica, che devia verso l’incubo e l’allucinazione – in certi momenti, sembra di trovarsi all’interno di un sogno, con fulminei cambi di scena e brusche interruzioni visive, mentre la cinepresa serpeggia rapida tra la vegetazione e insegue delle tetre comparse. Il potere dell’arte – e, in particolare, l’efficacia del lavoro di Mosse – sta proprio in questo: nel riuscire a rappresentare ciò che è troppo terribile per essere raffigurato o troppo doloroso per essere descritto.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, Protection, North Kivu, Eastern Congo, 2012.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, The Enclave, 2013.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, The Enclave, 2013.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, The Enclave, 2013.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, The Enclave, 2013.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, The Enclave, 2013.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, Of Lillies and Remain, 2012.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, Platon, North Kivu, Eastern Congo, 2012.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, Safe From Harm, North Kivu, Eastern Congo, 2012.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, Wrap Your Troubles in Dreams, North Kivu, Eastern Congo, 2012.

Richard Mosse, Padiglione Irlanda, Biennale di Venezia

Richard Mosse, Suspicious Minds, North Kivu, Eastern Congo, 2012.

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Federico Florian

Storico dell’arte e aspirante scrittore, vive a Milano e ha un debole per l’arte contemporanea. Collabora con Arte e Critica e altre testate. Violinista e instancabile viaggiatore, ama la buona letteratura. Sogna una critica d’arte agile e fresca, e aspetta di scrivere il romanzo perfetto.


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