3 Luglio 2013
A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e-neri a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza. Quando i fili sono tanti che non ci si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via: le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili. […] Così viaggiando nel territorio di Ersilia incontri le rovine delle città abbandonate, senza le mura che non durano, senza le ossa dei morti che il vento fa rotolare: ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma.
Italo Calvino, Le città invisibili (V capitolo: Le città e gli scambi, 4)
Riprendo la via dei Giardini in direzione del padiglione tedesco, eccezionalmente sede dell’intervento francese in seguito a uno scambio di spazi espositivi tra i due Paesi. È qui che è allestita la straordinaria video-installazione di Anri Sala, l’artista franco-albanese invitato a rappresentare la Francia in questa edizione della Biennale. La struttura dell’opera mi ricorda quella di una moderna tragedia in tre atti, composta da un prologo, un corpo e un epilogo…
Prologo: Unravel
Un volto di donna, in primissimo piano, occupa l’intera superficie dello schermo: gli occhi vigili e le pieghe del viso tradiscono uno stato di estrema concentrazione. In sottofondo si susseguono i frammenti di una melodia interrotta, di cui non riesco a cogliere il ritmo complessivo. La donna pare intenta a disfare l’armonia originaria di un brano; oppure, al contrario, cerca di ricomporre i pezzetti di un antico canto perduto. Il corpo e le mani restano al di fuori dell’inquadratura: posso solo immaginarne i movimenti. Può darsi che quella che ascolto sia una sorta di musica interiore – la partitura sonora dei suoi pensieri più profondi.
Corpo: Ravel Ravel
La sala centrale del padiglione mi riporta col pensiero sul set di una pellicola espressionista: le pareti sono ricoperte da una distesa di spuntoni di gomma, in grado di assorbire il suono ed eliminare ogni traccia di eco. È uno spazio surreale, metafisico – pare generato da un’astratta equazione matematica. Le due grandi proiezioni al centro mostrano, in simultanea, i movimenti della mano sinistra di due pianisti mentre suonano il medesimo pezzo: il Concerto per pianoforte per la mano sinistra di Maurice Ravel. I tempi delle due esecuzioni sono leggermente sfalsati: vi è un gioco di richiami e risonanze, una sottile asincronia che complica e “ingarbuglia” la melodia di partenza. Le mani improvvisano sulla tastiera una danza frenetica; si rincorrono, a volte accelerano, altre rallentano – inscenano un dialogo disperato, incomprensibile, che rimanda alla morte, alla guerra e alla tragedia della menomazione fisica. Ed è proprio il trauma dell’amputazione corporale il motivo per cui fu composto il Concerto: fu Paul Wittgenstein, pianista viennese che perse il braccio destro in guerra, a commissionare l’opera al compositore francese. Il pezzo è così concepito per la sola mano sinistra: è un canto funebre a ciò che si è perduto – un dirompente crescendo che si interrompe all’improvviso con la stessa forza di un’amputazione violenta.
Epilogo: Unravel
Finalmente riesco a comprendere il motivo della concentrazione di Chloé, la protagonista del video iniziale: l’obiettivo della macchina da presa ora ne inquadra le mani, mentre maneggiano un mixer e un giradischi. Chloé è una dj che cerca di districare e riallineare le due esecuzioni precedenti del Concerto di Ravel: lo scopo è di farle confluire in un’unica versione. È un’operazione di unravelling, simile a quella del dipanare i fili di una matassa ingarbugliata. Un procedimento affine alla rivelazione, volto a svelare la partitura originaria di un brano. Forse, una metafora della musica stessa e del suo potere rivelatore.
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