2 Ottobre 2015
Prendere un viaggio e raccontarne primariamente lo stato di abbandono, il senso di permanenza che impedisce ogni eventuale e comunque sgradito ritorno. Matteo Campagnoli scrive dalla regione caraibica, ovvero da una terra straniera alla quale ha finito per aderire completamente. Dispacci dai Caraibi è l’ultimo volume della bella collana Travel Books edita da Humboldt, una collana che si distingue per la cura editoriale e che a ogni uscita sembra rilanciare la propria idea di fondo senza mai affaticarla, ma anzi ridefinendone continuamente i contorni. Il resoconto di Matteo Campagnoli è essenziale e a tratti telegrafico, ma capace di ricostruire il senso di un incontro (come nel caso del dialogo con il premio Nobel Derek Walcott) attraverso un’implacabile messa in discussione del proprio punto di vista. Lo sguardo si fa tanto più rarefatto quanto più ci si addentra nella narrazione: St. Lucia, Trinidad e Martinica sono le mete che animano il percorso, parallelamente agli incontri con Earl Lovelace, V.S. Naipaul, Aimé Césaire, Édouard Glissant e Patrick Chamoiseau. Il racconto procede grazie a un doppio movimento che dalla cronaca va alla memoria e dalla memoria allo sguardo, fino a permeare la stessa forma del libro, che presenta come coautore il fotografo bolognese Stefano Graziani, il quale interloquisce con il senso più autentico del testo, restituendone lo scarno realismo con una luce bianca capace di illuminare e appannare contemporaneamente i luoghi. Dispacci dai Caraibi si offre come guida a un viaggio che non prevede ritorni: ai Caraibi si va per esserne conquistati nel profondo.
