15 Luglio 2015
Ha capelli incredibilmente lunghi, lisci e castani, ma imbionditi sulle punte, come arsi dal sole. Se li raccoglie con le mani, li accomoda dietro le orecchie. Poi, in un rapido gesto, se li riporta davanti, da un lato soltanto. Oltre ad accarezzarsi i capelli, durante l’intervista Benedetta Mazzini sorride, fuma e si sistema le Converse, guardandosi riflessa nella finestra della sede di Milano, in piazza Giulio Cesare (l’headquarter è a Lugano). Siamo negli uffici dei tour operator Ultimate Places, fondato nel 2014 insieme all’amico Nicos Contos, e Wild Places Safaris, nato nel 2012, specializzato in safari e viaggi in Africa. Ma prima delle tante esperienze nel mondo, prima dell’Africa e dei safari, delle foreste e degli elefanti, c’è stato il mondo dello spettacolo. Nata nel 1971 a Milano, cittadina svizzera, Benedetta cresce in una famiglia piena di stimoli culturali e artistici. Inizia come modella, e negli anni si impegna come autrice, conduttrice televisiva e radiofonica, attrice di cinema e teatro, opinionista televisiva. Poi, da donna tosta e coraggiosa con la passione dei viaggi, cambia vita e sposa il Continente Nero. Scrive, produce e conduce su Rai 5 il programma di reportage Africa Benedetta.
Parliamo di donne. Sulla tua pagina Facebook hai citato una frase di Rita Levi Montalcini: “Io sono la mia mente, il corpo faccia ciò che vuole”. Ovvero?
Una bomba, non trovi? Il discorso è che la nostra società ci rende schiavi. Noi donne, poi, siamo tanto più asservite perché abbiamo dei modelli irraggiungibili, o raggiungibili a un prezzo esorbitante.
Che modelli intendi?
Fisici ed estetici. È necessario essere per forza bellissime e giovanissime. Ma che senso ha? Non dovremmo fare nulla a discapito della nostra serenità e della sicurezza in noi stesse. Non è perché sei figa che automaticamente sei in gamba. Sei in gamba, poi magari sei anche figa.
Attraverso i tuoi viaggi hai conosciuto altri tipi di donne. Cosa abbiamo di diverso rispetto alle africane?
Non lo so, ma in Africa c’è davvero un altro modo di vivere la propria fisicità e il proprio corpo. Parlo di sensazioni che ho sentito sulla mia pelle. E in gran parte si tratta di paesi dove si pratica ancora l’infibulazione, dove la donna ha un ruolo subalterno, svolge le mansioni più faticose, si occupa dei figli e delle faccende domestiche.
C’è un episodio particolare che ti è rimasto impresso?
Nella tribù degli Hamar, in Etiopia, quando a un uomo viene concesso il permesso di sposarsi si organizza una grande cerimonia. Le donne di tutte le età, anche quelle dei villaggi circostanti, accorrono per farsi frustare sulla schiena con un ramo, perché le cicatrici rappresentano un legame, un simbolo di devozione, appartenenza e coraggio. Cadono in una sorta di trance, non sentono dolore.
Cos’hai provato di fronte a quella cerimonia?
Mi ha impressionato la reazione di queste donne: non battono ciglio, non muovono un muscolo, non dicono nulla. Per loro è una cosa importante: più cicatrici hanno e più dimostrano di essere forti. Se quelle stesse donne un giorno avranno bisogno di qualcosa, andranno da colui che le ha frustate, il quale si sentirà in dovere di aiutarle. La cerimonia è parte integrante della tradizione Hamar, è profondamente radicata nei loro costumi. Non è un’imposizione, appartiene alla loro cultura.
Anche l’infibulazione è un fatto culturale.
Sì, l’infibulazione è un altro costume profondamente radicato nelle tradizioni di molte tribù africane. Una bambina per essere accettata nella struttura sociale della propria tribù deve sottoporsi al rito di passaggio dell’infibulazione. La bambina che non viene sottoposta all’asportazione del clitoride non entra nell’età adulta e non può prendere marito. Oggi le cose stanno lentamente cambiando, alcune donne stanno prendendo sempre più coscienza del dramma e pur di non sottoporsi a questo rituale si allontano dal villaggio e decidono di non vivere più secondo le tradizioni del loro gruppo etnico.
Quando ne parli ti si allargano gli occhi.
Sono esperienze che rendono tutto più grande. Ma una volta rientrata a Milano ho la mia vita anche qui, con il mio lato futile, leggero e divertente. Non è che non vado a comprare quattro paia di scarpe: me le compro e sono ben felice di farlo, perché vivo in un posto dove non solo me le posso permettere, ma anche mettere.
Da quanto tempo viaggi?
Ho sempre viaggiato tanto, affascinata da culture diverse, persone diverse, posti diversi. Ma l’Africa mi ha soggiogato immediatamente, e da subito ho cominciato a passarci molto tempo.
Il grande reporter polacco Ryszard Kapuściński ha scritto che in Africa “la prima cosa che colpisce è la luce. Luce dappertutto, forte, intensa. Sole dappertutto”. Cos’è invece per te il continente nero?
Un mondo con un sole meraviglioso, ma violentissimo. Non c’è niente di nero, e non c’è spazio per l’ombra: sugli uomini, sulle donne, sugli animali, sulla terra. Suona un po’ romantico, ma è così.
Cosa ti danno quei luoghi?
Appena atterro in Africa, non esiste più nient’altro. Il che è abbastanza rischioso, perché il tempo si ferma e allontana tutto: lavoro, fidanzato, famiglia – a parte mia madre (la cantante Mina, nda), che è sempre con me. In Africa non ho bisogno di niente, sono completamente appagata. Non ho mai fatto viaggi in compagnia, io viaggio da sola ed è la cosa che consiglio a tutti. Solo se viaggi da sola, conosci.
Una curiosità, come si affronta un leone?
Se puoi cerchi di non affrontarlo. Tutti gli animali, dal leone alla mangusta, hanno paura dell’uomo, quindi evitano lo scontro perché hanno nel loro DNA il nostro odore. Quando ti vedono a piedi scappano, perché nella loro memoria la nostra presenza significa morte. L’animale ti affronta solo se non ha una via di uscita. Per evitare il leone devi ascoltare il suono degli altri animali, devi controllare com’è il vento, devi camminare sopra vento e non sotto vento, per non farti sentire. Se per sfortuna, tua e dei leoni, si arriva all’incontro, non devi scappare, devi stare immobile: chi scappa è una preda, quindi se scappi riconosci la superiorità del predatore. Lì hai perso. Comunque, la regola d’oro in Africa è: qualsiasi cosa succeda, non correre. Mai.
Qual è secondo te l’animale più bello e maestoso?
Amo gli elefanti, anche per la loro struttura sociale. Sono belli e intelligenti, potrei contemplarli per ore.
Come si accarezza un elefante?
Gli animali non si toccano e non si fanno toccare.
Stiamo parlando tanto di Africa, ma vorrei che mi dicessi qualcosa di Wild Places Safaris. Come confezionate il viaggio perfetto?
I nostri sono viaggi integralmente tailor made, nel senso che è tutto su misura. Confeziono il viaggio dopo aver parlato con il cliente che mi dice cosa vuole, cosa gli piace, cosa si aspetta. Il viaggio parte dal cliente, perché uno può avere la stessa mia inclinazione a passare il tempo tra la gente, mentre un altro preferisce le mete culturali.
È vero che provi sempre tutto prima?
Assolutamente sì. E se non lo faccio io, lo fa una persona che lavora con me, o le compagnie con cui lavoriamo.
Perché?
Perché se si sbaglia qualcosa nel deserto, o in Patagonia, può essere pericoloso. Comunque, da noi puoi declinare il tuo viaggio in tutti i modi: vai pazzo per le formiche? Ti mettiamo a disposizione un biologo. Vuoi fare un corso di fotografia con un reporter del National Geographic? Sei accontentato. Non li chiamiamo neanche più viaggi, sono esperienze a tutti gli effetti.
Da dove arriva la maggior parte dei clienti?
Sono soprattutto italiani e svizzeri, avendo due uffici a Milano e a Lugano. Ho scelto di collaborare con persone che hanno a cuore la salvaguardia della natura. È un business, certo, ma tutti i nostri partner, penso a Wilderness Safaris, Great Plains Conservation, andBeyond e molti altri, pongono particolare attenzione al turismo sostenibile, ossia alla tutela dei luoghi, delle comunità locali e della fauna. E una parte delle entrate di queste attività viene sempre destinata a progetti come il reinserimento di animali, l’aiuto alle comunità locali e lo sviluppo di nuovi posti di lavoro.
C’è un posto che non hai mai visto?
Tantissimi, nella stessa Africa me ne mancano un’infinità.
Cosa ti porti in valigia, spazzolino e mutande a parte?
Ovunque vada mi porto sempre il mio iPod, anche se poi magari non lo accendo nemmeno. A parte questo, pila e coltello.
E quando viaggi per piacere?
Amo molto fare camping. E allora capita di fermarsi dove non c’è luce, non c’è acqua e si cucina sul fuoco. È una cosa pazzesca, ma non ci facciamo mancare niente: anche in mezzo al nulla, non è che ci portiamo i panini.
E cosa mangiate?
Ci portiamo le pentole, al mattino ci facciamo il porridge. Il concetto è che puoi avere tutto quello che ti piace, quindi, che ne so, hai il secchio con la spugna per farti la doccia, hai il cuscino morbido anche se dormi in tenda. Perché devi essere scomodo se puoi avere tutto? Sono piccoli dettagli che rendono l’esperienza ancora più bella.
Come fai con le sigarette?
Me le porto dietro. Non sono una fumatrice accanita, ma in mezzo alla natura sono ancora più buone. Il fatto è che sotto le stelle diventa tutto più buono, più bello, più forte, i sensi esplodono e ti senti completamente appagato. Sei talmente stravolto dal posto in cui ti trovi, dai suoni, dalle stelle, che non hai più tempo nemmeno per la musica, non hai più tempo per niente.
Esiste Dio per te?
Sì, esiste.
È uomo o donna?
È la Natura.