17 Febbraio 2014
Come Steve McCurry o Sebastião Salgado, anche Kazuyoshi Nomachi (1946) appartiene a quella tradizione fotogiornalistica capace di fermare uno sguardo e di trasformarlo in un brano di storia visiva. Le sue immagini, sempre monumentali e a perdita d’occhio (anche quando sono in piccolo formato), indagano la spiritualità umana a contatto con le regioni più ostili o remote della terra. Ora, una retrospettiva a La Pelanda del MACRO Testaccio di Roma ripercorre le tappe del suo viaggio fotografico: dalla prima spedizione sahariana nel 1972, al Tibet, dove ha studiato da vicino il buddismo, passando per il Gange, dove ha approfondito la tradizione induista. Nomachi è stato il primo a documentare il pellegrinaggio alla Mecca (il suo lavoro sulle città sacre dell’Islam è durato cinque anni, dal 1995 al 2000), mentre, più recentemente, si è spostato in Sudamerica per indagare i rapporti fra cattolicesimo e civiltà Inca. Nei suoi scatti, la luce è protagonista assoluta: abbacinante e morbida, avvolge personaggi e luoghi per portarli verso un assoluto che ha il respiro di un racconto epico.
Kazuyoshi Nomachi, Le vie del Sacro
La Pelanda, MACRO Testaccio
A cura di Peter Bottazzi
Roma
14 dicembre 2013 – 4 maggio 2014